Saint-Martial, Occitania. Un paesino di 197 abitanti. Come in un western c’è un uomo che torna a casa. Lo fa per rendere omaggio al fornaio defunto del villaggio. Una persona a cui era legato (certo, ma da cosa?). E per la famiglia di lui, che lo ospita: la madre («che ti vuole bene», continuano a ripetergli: sì, ma quanto? E come?) e il figlio rude, aggressivo, spartano che manifesta sentimenti contrastanti verso la sua figura (perché? Cosa c’è dietro?). Jérémie, così si chiama il Nostro, è stato lasciato dalla compagna ed è disoccupato. Si può prendere il proprio tempo: e questa dimensione improduttiva ed esplorativa, rarissima nel cinema e nel mondo di oggi, è solo il primo degli anacronismi di Miséricorde.
Un titolo originale che è un manifesto, un sentimento, una postura etica e un atteggiamento morale: non un semplice indicare una figura in un luogo, un dato aneddotico, un banale inquadramento geografico. Intorno a questi personaggi ci sono un popolano sovrappeso dal cuore apparentemente d’oro (perché Jérémie dovrebbe essere geloso di lui?) e un curato di campagna che si muove saggio e silente. C’è un omicidio. Sappiamo chi è il colpevole. Lo sa anche il sacerdote (sì, ma in che modo?). E non è esattamente una denuncia quel che desidera. Guiraudie è uno dei maggiori registi francesi di oggi: il suo cinema è asciutto, surreale, sub-reale, sub-normale, paradossalmente placido nonostante sia pieno di elementi che potrebbero provocare un banale spettacolo. Sta tra Bruno Dumont e i fratelli Larrieu, tra il mitologico e il prosaico, tra l’assurdo e il proverbiale. Cioè in un cinema eccentrico, che si sposta dal centro e dal certo: non urbano per temi e location, e soprattutto interessato a sottrarre lo spettatore all’orientamento automatico, ideologico e morale, che propongono le immagini, le storie, le retoriche a cui siamo abituati. E che chiamiamo, in maniera assolutamente perversa e politicamente rassegnata, “realismo”.
Così Guiraudie apre L’uomo nel bosco, liberamente tratto dalle 1.038 pagine del suo romanzo Rabalaïre, con la figura tipica del coinvolgimento, la soggettiva: un lungo camera-car che porta il pubblico e Jérémie, insieme, l’uno su e dentro l’altro, al paesello. Il cinema, dice Apichatpong Weerasethakul, è un «mezzo di trasporto». Perciò questo coincidere si fa subito imperfetto, slitta, scarta, spinge altrove: a cominciare dalle mancate risposte alle domande poste qui sopra, lo spettatore è accompagnato in un luogo in cui i moventi non sono dati, i desideri non presentano retroscena psicologici comprensibili, le norme sociali si reinventano in maniera libera, non conforme a quelle conosciute. Ai “Cahiers” (che han consacrato il film come il migliore del 2024) Guiraudie dice di voler «rendere possibile l’improbabile». Il che significa, soprattutto, ricontrattare il termine “normale”, e proporre a chi guarda un luogo utopico, in cui poter sperimentare sentimenti e posizionamenti oltre ogni logica e morale. La misericordia, per esempio. C’è più Bresson che Chabrol, qui dentro.
Il film
L'uomo nel bosco
Drammatico - Francia 2024 - durata 103’
Titolo originale: Miséricorde
Regia: Alain Guiraudie
Con Félix Kysyl, Catherine Frot, Jacques Develay, Jean-Baptiste Durand, David Ayala
Al cinema: Uscita in Italia il 16/01/2025
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