Delle tre icone del Novecento raccontate da Pablo Larraín, Jackie Kennedy, Lady D e Maria Callas, la sola a essere chiamata “divina” è stata l’ultima, la cantante lirica più celebre del secolo, il soprano per eccellenza. La trilogia del regista cileno si chiude dunque con il racconto dell’ultima settimana di vita della Callas, morta a Parigi il 16 settembre 1977 a soli 53 anni, quando ormai non riusciva più a cantare, nonostante le prove a teatro in vista di nuove incisioni, e viveva con la sua servitù (tra cui il maggiordomo e la cuoca interpretati da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher), lasciata dall’amore della vita Onassis e perduta - almeno secondo la sceneggiatura di Steven Knight, ancora con Larraín dopo Spencer - in malinconici e strazianti vaneggiamenti mentali.

Angelina Jolie
Maria (2024) Angelina Jolie

Una voce che era corpo (tanto che nel flashback durante l’occupazione nazista della Grecia un soldato tedesco preferisce sentire cantare la giovane Maria invece che possederla), nel film diventa un corpo senza più voce, dunque un corpo assente (e quanta sottile crudeltà nel farlo incarnare da Angelina Jolie, somigliante alla Callas più per assonanza che per vicinanza). A un certo punto lo sostiene anche Onassis, quando di fronte a Marilyn che ha appena cantato Happy Birthday, Mr. President a JFK si rivolge alla sua compagna dicendole che «a nessuno interessa la sua voce, proprio come a nessuno interessa il tuo corpo». Da qui l’idea, tipica del cinema di Larraín, di raccontare un fantasma che abita un mondo astratto, che dopo la tv e il palcoscenico della Storia di Jackie e il castello dei Windsor di Spencer in Maria è una casa lussuosissima nel centro di Parigi dove l’unica presenza materica è un enorme pianoforte da spostare di stanza in stanza e tutto il resto, dentro e fuori la prigione-mausoleo, è un flusso indistinto e ininterrotto di ricordi, frammenti di vita, esibizioni, pezzi di cantate, opere allestite per strada, sotto la pioggia o al Trocadero, più un film-intervista da girare con una troupe immaginaria.

Angelina Jolie
Maria (2024) Angelina Jolie

Un mondo delirante, ipertrofico, kitsch, esagerato ed eccessivo, che a partire dallo stesso immaginario dell’opera lirica - dal suo «testo del mutismo», come lo definiva Peter Brooks, che silenzia le parole e arresta il racconto per fissare le emozioni con le immagini e la musica -, diventa l’unica forma possibile per raccontare la confusione tra diva e Divina incarnata dalla protagonista, la sua identificazione nelle arie riprese dal film da I puritaniOtelloNormaLa traviataTosca... E lo stesso stile di Larraín, tra bianco e nero e fotografia a colori opaca, cambi di formato e cambi di macchina da presa, pur nella spersonalizzazione di un cinema internazionale, senza una nazione e una lingua proprie (in originale tutti parlano inglese e la Jolie quando finge di cantare incarna letteralmente il testo del mutismo...), finisce per trovare la sua ragione: dare corpo, nella sua esibita superficialità, all’unica forma d’arte capace di generare idolatria nei suoi appassionati e trasformare le sue interpreti in divinità.

Autore

Roberto Manassero

Roberto Manassero lavora come selezionatore al Torino Film Festival, è capo-redattore del sito www.cineforum.it e collaboratore delle riviste Film Tv e Doppiozero. Ha scritto un libro su P.T. Anderson, uno su Hitchcock e uno sul melodramma hollywoodiano. Tra i curatori del programma del Circolo dei lettori di Novara, tiene lezioni di cinema in scuole, musei e associazioni cultura.

Il film

locandina Maria

Maria

Biografico - Germania, USA, Emirati Arabi Uniti, Italia 2024 - durata 124’

Titolo originale: Maria

Regia: Pablo Larraín

Con Angelina Jolie, Valeria Golino, Kodi Smit-McPhee, Haluk Bilginer, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher

Al cinema: Uscita in Italia il 01/01/2025