Tornato in sala per i 40 anni dall’uscita Paris, Texas (1984), il film forse più delicato e devastante di Wim Wenders, è uno di quei prodotti che svela la sua caratura solo nel finale. È cinema d’autore, come si suol dire, quindi nessuno parlerebbe di plot twist come in uno Shyamalan qualunque, eppure è di questo che si tratta. Un plot twist morale. Un doppio plot twist se consideriamo che vi si accolla pure un happy ending che non è davvero tale, annichilendo le aspettative degli spettatori su più livelli.
Travis (Harry Dean Stanton, al ruolo della vita) vive due film on the road in uno, nella prima parte attraversando il confine col fratello e nella seconda col figlio ritrovato di otto anni Hunter. I due vanno alla ricerca della mamma del bambino, che lo ha abbandonato, così come ha fatto Travis, ma che lo mantiene a distanza (a differenza del padre). I tre rappresentano un nucleo familiare totalmente disgregato da una colpa inespressa e indicibile, ma già sospettosamente ‘paterna’, e crediamo che il viaggio di iniziazione servirà a riunirli sotto il segno dell’amore.
E in effetti cosa non è se non un profondo amore quello che Travis, Hunter e la giovane Jane (Nastassja Kinski) provano gli uni per gli altri? L’uomo ritrova la sua amata: fa la spogliarellista in un peep show. (E ci sarebbe da scrivere un trattato sulle implicazioni metacinematografiche di questa scelta; siamo nel pre-porno, storicamente parlando. Una fase ancestrale, sotterranea del voyeurismo.)
Non ha il coraggio di parlarle faccia a faccia e lo fa attraverso lo schermo riflettente del locale: lui può vederla, lei non può vedere lui. Scambiamo la sofferenza di Travis per una mera constatazione delle scelte di Jane, ma il dolore è più radicato, più colpevole. Così Travis ‘racconta’ alla madre di suo figlio una storia, la storia della loro relazione. Quell’uomo mite si rivela anche geloso, possessivo, fragile, tendente all’alcolismo e potenzialmente violento.
Racconta di come ha distrutto un amore e una donna e del perché non è giusto che i due si rivedano, come se non fosse successo niente. Comunica a Jane l’albergo dove può trovare il loro adorato figlio e la madre raggiunge il piccolo. Travis li osserva da fuori la finestra, poi sale in macchina e scompare, forse per sempre, ad espiare le sue colpe nelle lande desolate del Texas.
Il nucleo familiare ritrova la sua pace, ma nella elisione dell’elemento paterno. Nella disgregazione trova una sua armonia, imperfetta, incompleta ma giusta. Sarebbe fin troppo facile derubricare il finale ad un’assunzione di colpe del maschio tossico, c’è molto altro. Ma la sostanza è pur sempre quella, e lì c’è la sua forza morale. Il piccolo Hunter è stato strappato agli zii che lo hanno cresciuto, e della loro sofferenza non vediamo più nulla.
Travis non ha il coraggio di parlargliene ma li priva di quel figlio perché è giusto così. Per riunire un nucleo non riunibile se ne distrugge un altro. L’intera trama è quindi solo un elenco di soggettività frammentarie, pezzi di un puzzle indecomponibile, cuori monchi del proprio oggetto amoroso. E il film infatti perde tutti i suoi fili nel deserto, nel viaggio, nei monologhi spezzati che sostituiscono sistematicamente ogni possibile dialogo chiarificatore.
Ed è già tanto, perché la prima mezz’ora poteva far pensare a una soluzione ‘defilippiana’, cioè il mutismo del protagonista. Che però a un certo punto parla, solo che lo fa filtrando la sua immagine e la sua con uno specchio, con un registratore o un telefono. La famiglia non si ricompone perché la sua anima non si ricompone. Eppure c’è ancora speranza di felicità, per gli altri, per coloro che ama. Travis vede un futuro senza di sé. E lo vede corretto, giusto.
Il film
Paris, Texas
Drammatico - Germania/Francia 1984 - durata 150’
Titolo originale: Paris, Texas
Regia: Wim Wenders
Con Harry Dean Stanton, Nastassja Kinski, Dean Stockwell, Hunter Carson, Aurore Clément, John Lurie
Al cinema: Uscita in Italia il 04/11/2024
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