Squali e bastardi

Davvero a qualcuno interessa sapere se gli antichi romani inscenavano sanguinose battaglie navali nel Colosseo allagato, dopo aver immerso in acqua anche alcuni squali (piccoletti: circa due metri, pare), che facessero piazza pulita dei feriti che cadevano dalle navi? Gli storici hanno già cominciato a criticare Ridley Scott per questa che, secondo loro, sarebbe una “libertà” inaudita (come, da altre parti, qualcuno ha fatto obiezioni all’accento newyorkese - nell’originale - di Denzel Washington, mentre si sa che i cattivi dell’Impero hanno sempre parlato con accento british). Come d’abitudine Ridley Scott risponde con sbrigativa e feroce franchezza. E il problema di qualsiasi spettatore avveduto non è certo la rigorosa verosimiglianza storica ma, se mai, il divertimento. E Il gladiatore II è divertente, forse un po’ lunghetto e, nella prima parte, risaputo, ma divertente.

Risaputo perché racconta quello che hanno sempre raccontato i film sull’Impero romano e i suoi eroici, solitari sfidanti, da Ben-Hur a Spartacus, da Massimo Decimo Meridio a tutti i gladiatori dei peplum: un valoroso straniero (o presunto tale) ridotto in schiavitù e trasformato in leggenda dei giochi mortali del Colosseo sfida la perfidia corrotta di un sovrano marcio e geloso, magari anche per ristabilire giustizia e libertà in città. È quello che tenta di fare qui Lucio, figlio di Lucilla e nipote di Marc’Aurelio, cresciuto libero in Numidia, ridotto schiavo e condotto a Roma, dove dominano gli imperatori Caracalla e Geta, uno peggio dell’altro, ormai nel 200 d.C. anche un contorto malvagio come Commodo è un lusso, questi sono solo stupidi, feroci e troppo truccati.

Ma meno male che un grande cattivo c’è, imprevedibile (anche perché trattasi di attore afroamericano e, oggi, ci vuole molto sangue freddo per fare un black negativo) e di irresistibile, implacabile sottigliezza: si chiama Macrino ed è diventato ricco e potente maneggiando gladiatori e facendo scommesse. L’esperto di gladiatori (nei quali cerca la rabbia), una parte quasi positiva nei peplum classici, che Denzel Washington affila, rifila e a poco a poco ribalta con eccezionale bravura, occhiate, sorrisetti, pensieri che lo attraversano, poche parole, ambigue, piccoli gesti di mani inanellate. Un bastardo vero. Il film è suo, soprattutto.

Ma non sfigura il protagonista Paul Mescal, giovane irlandese con parecchio teatro alle spalle, anche un Laurence Olivier Award nel 2023 per Stanley Kowalski in Un tram che si chiama desiderio, del quale Lucio ha la terragna solidità, un uomo del popolo, un common man. Così, dopo una decina (almeno) di anni piuttosto infausti, dove Scott si è perso tra miliardari, modaioli, supereroi statici e sovrani isterici (eccezione: il bel The Martian), eccolo tornare sul campo che gli è più congeniale, un bel duello di differenti virilità (senza dimenticare le sue signore come sempre volitive) e tanti scontri di armate, legioni, navi, guerrieri, un enorme rinoceronte e, perché no?, piccoli squali affamati. Le scene d’azione sono belle, nonostante l’algida freddezza del digitale.

Il film