«Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose ci si può spingere a cercare quello che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile» (Italo Calvino, Palomar). Il cinema di Paolo Sorrentino è basato sul distrarsi, sul perdersi nella superficie, sul non trovare (non subito) il punto. Sul non concentrarsi sulla cosa giusta, sul riordinare la gerarchia del mondo secondo una logica propria, irragionevole, sentimentale, umorale. Come se il cinema moderno (Fellini, certo, ma non solo), giungendo sino a noi, si fosse ammalato di deficit attentivo. O fosse diventato ossessivo-compulsivo.
Sorrentino predilige il tempo sospeso della descrizione a quello progressivo dell’azione. La forma delle cose all’eventuale, supposta, profondità. La sua è una bulimia del descrivere che qui, in Parthenope, è quella di una memoria che smania per ricostruire, e dunque trattenere ancora un attimo, il tempo passato: la storia - semplice, in fondo - di una donna (Stefania Sandrelli) che ricorda la propria gioventù (Celeste Dalla Porta). Una donna che è anche Napoli, la sua città: la sua forma umana, la sua anima, forse. Forse un suo simbolo. È così che la vedono. Ed è così che, in questo tempo sospeso, mitico, il cinema finisce per esasperare i tratti, ingigantire i dettagli, rallentare la colonna sonora (facendo riemergere Era già tutto previsto di Cocciante, dall’album-capolavoro L’alba), portare rumori di fondo in primo piano, rimarcare i secondi passati, e far sentire il peso violento degli eventi che rompono l’incanto di questa continua digressione, di questa intermittenza del cuore, di questa catena infinita di particolari.
Un cinema iper-sensibile all’epidermide del mondo, per cui ogni dettaglio, visivo, sonoro, è in grado di aprire storie, non solo parentesi. E il tutto con misura e geometria, anche nel kitsch e nell’eccesso, perché di certo il passare da Luca Bigazzi a Daria D’Antonio, come direttore della fotografia, ha placato il muscolarismo estetico dell’autore, facendogli trovare una misura differente, un distacco dolce, una maggiore libertà, priva d’ansia dimostrativa. Un cinema composto da set piece di alta fattura formale in cui le scene madri, paradossalmente, sono fuori campo, nelle ellissi, altrove.
Perché stare su questa «superficie inesauribile» significa non potere vedere e non sapere tutto: allo spettatore è dato uno spettacolo di personaggi di cui si conoscono le parole recitate e le traiettorie degli sguardi (soprattutto), non i moventi o - peggio - le psicologie; in cui è «tutto vero, tutto falso», perché l’autenticità è il vero enigma (come nel cinema del neobarocco Carax); e in cui hanno tutti ragione, perché è difficile applicare una morale a questa mostra. Sorrentino sostiene di essere un regista realista, forse con ragione: è uno che il mondo lo guarda. Lo guarda fino a non vederne nient’altro che la superficie: ed è così che propone allo spettatore - libero da preconcetti sul cinema e sul mondo - di riscoprire il mistero di quel che sta sotto.
Il film
Parthenope
Drammatico - Italia, Francia 2024 - durata 136’
Regia: Paolo Sorrentino
Con Silvio Orlando, Peppe Lanzetta, Gary Oldman, Celeste Dalla Porta, Luisa Ranieri, Isabella Ferrari
Al cinema: Uscita in Italia il 24/10/2024
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta