Un archivio si sviluppa in larghezza (necessita, cioè, di uno spazio d’accrescimento dove conservare e catalogare) e in altezza, sugli scaffali di un magazzino, negli scomparti di un laboratorio, nelle pile di bobine inscatolate. Il film di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti è pensato come un archivio: di immagini raccolte negli anni, di documenti consultati, di pensieri nati da riflessioni continue, di parole ascoltate e registrate. Un film che cresce in larghezza (tre parti distinte, quasi tre ore e mezza di durata) e in altezza, perché - scusando l’ingenuità dell’affermazione - il loro autori non hanno paura di volare alto. O meglio, non hanno paura di fare ciò che al contrario molti registi contemporanei (Miguel Gomes, per esempio) temono più di ogni altra cosa, e cioè tirare le fila del loro discorso, trovare la sintesi di una visione del mondo, usare il montaggio come principio regolatore della conoscenza.

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Bestiari, Erbari, Lapidari (2024) scena

Bestiari Erbari Lapidari abbraccia l’esistente dal punto di vista dell’uomo e si chiede quale sia, sul pianeta di cui siamo parte, il senso di tale posizione, prima ancora che di sguardo. Il primo tassello, dedicato al modo in cui il cinema filma gli animali e guidato dai ricercatori Sophia Gräfe e Francesco Pitassio, s’interroga sul potere della macchina da presa rispetto ai suoi soggetti, mostrando frammenti di film delle origini, riprese sul tavolo di un veterinario, immagini di tigri in incubatrici e volpi in gabbia, unendo le pratiche d’addestramento animale ai processi di sottomissione delle persone.

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Bestiari, Erbari, Lapidari (2024) scena

La seconda parte, girata nell’orto botanico di Padova, osserva il mondo vegetale da una prospettiva più distante, meno compromessa, e si fa silenziosa e paziente; nel momento, però, in cui la voce fuori campo del botanico Stefano Mancuso spiega come il 99,7% di biomassa sia composto da piante e che dunque la vita sulla pianeta sia di tipo vegetale, mentre quella animale (nemmeno umana: animale!) è soltanto una traccia, il processo di raccolta, catalogazione, pulizia, nutrimento, accudimento delle piante documentato dai registi crea una sottile tensione, mostra lo sforzo dell’uomo di conoscere e catalogare, e dunque sottomettere, tagliare, chiudere, ma anche condividere e restituire (ed è commovente l’inserto dedicato all’erbario in trincea di un giovane soldato morto durante la Grande guerra).

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Bestiari, Erbari, Lapidari (2024) scena

La terza e ultima parte, infine, dedicata alla pietra, dai fossili a un cementificio alla produzione delle pietre d’inciampo, connette in modo intuitivo fenomeni naturali, processi industriali, lavoro artigianale ed eventi storici. Grazie alla diramazione di pensieri interconnessi di cui questo film è fatto, tornano il tema della sottomissione (attraverso gli archivi dei prigionieri politici antifascisti) e quello della cattura del movimento, laddove le targhe delle vittime del nazifascismo sono come ricordi immateriali impressi dentro il corpo solido del cemento. Come il cinema, quindi, nato anch’esso come impronta di luce sulla materia, dentro il corpo della realtà in cui viviamo.

Autore

Roberto Manassero

Roberto Manassero lavora come selezionatore al Torino Film Festival, è capo-redattore del sito www.cineforum.it e collaboratore delle riviste Film Tv e Doppiozero. Ha scritto un libro su P.T. Anderson, uno su Hitchcock e uno sul melodramma hollywoodiano. Tra i curatori del programma del Circolo dei lettori di Novara, tiene lezioni di cinema in scuole, musei e associazioni cultura.

Il film

locandina Bestiari, Erbari, Lapidari

Bestiari, Erbari, Lapidari

Documentario - Italia, Svizzera, Francia 2024 - durata 205’

Regia: Massimo D'Anolfi, Martina Parenti

Al cinema: Uscita in Italia il 05/10/2024