Quello che il tempo vuole è la memoria delle cose, il ricordare come atto materico, come funzione dell’esperienza: luci, riflessi, oggetti, spazi, suoni, odori... Sensazioni, prima ancora che ricordi. È su questo che Francesca Comencini costruisce Il tempo che ci vuole, il suo film più personale (insieme all’esordio Pianoforte), atto di presenza alla figura del padre Luigi, prima ancora che naturale atto d’amore di una figlia. Non è solo una questione di ricordare fatti, parole, opere e omissioni, è piuttosto l’insistenza nell’evocare una dimensione relazionale attraverso l’immaterialità degli elementi emotivi, sentimentali, che hanno edificato il suo rapporto col padre. Non che i fatti, i ricordi manchino, c’è anzi tutto un inventario di momenti fondativi, di frasi, di gesti che strutturano il racconto. Il cinema ne è il contenitore, ma anche il contenuto, materia e sostanza di una narrazione che si scandisce nelle tre stagioni della loro storia reciproca: infanzia, giovinezza e età adulta, a definire un arco esistenziale che intreccia il tempo del padre con quello della figlia.
Perché poi Il tempo che ci vuole è la posa in opera di una cronologia reciproca, che esclude tutto il resto, tutto ciò che non è cinema - fatta eccezione per la Storia (il terrorismo, il rapimento Moro), che serve da oggettivo contrappunto generazionale e da importante argine dinamico alla deriva del soggettivismo. Perché è evidente che questo è un film profondamente di Francesca Comencini, ma è altrettanto evidente che si tratta del tentativo - riuscito - della regista di collocare se stessa nel tempo, di restituirsi alla propria vita riconoscendo e rispecchiando(si) e rispettando il padre. E allora l’intero arco esistenziale, che va dall’incanto della piccola Francesca dispersa tra campo e fuoricampo sul set di Pinocchio, al suo affiancare l’anziano Luigi nei suoi tardi film, è la matrice di un rapporto con un padre gentile e esigente, che evoca figure immaginarie per renderle concrete (la balena disegnata/imbalsamata) agli occhi della figlia.
La quale, crescendo, continuerà a confrontarsi con difficoltà con la realtà, rifugiandosi in paradisi artificiali dai quali non finirà sopraffatta grazie all’esserci costante del padre, al suo starle accanto come presenza concreta, reale, non solo ideale. Il film racconta tutto questo come un atto di fede nel dialogo tra la dimensione immaginaria e quella reale che Luigi, padre e regista, ha offerto a Francesca, figlia e regista: la lezione della vita che viene prima del cinema e che, però, il cinema permette di trasmettere è il punto focale di un ritratto a due che Francesca Comencini ci consegna con la sincerità di un filmare traslucido (Luca Bigazzi è qui a livelli altissimi), che non cerca mai le nettezza dei contorni, l’evidenza plastica della rievocazione, preferendo l’emozione del tempo. Romana Maggiora Vergano riesce nell’impresa di elaborare in presa diretta i fantasmi di Francesca, così come Fabrizio Gifuni disegna dolcemente i tempi e le fermezze di Luigi.
Il film
Il tempo che ci vuole
Drammatico - Italia 2024 - durata 110’
Regia: Francesca Comencini
Con Fabrizio Gifuni, Romana Maggiora Vergano, Anna Mangiocavallo, Luca Donini, Daniele Monterosi, Lallo Circosta
Al cinema: Uscita in Italia il 26/09/2024
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