Il drammaturgo Georg Dryman (Sebastian Koch) è nei vecchi uffici della Stasi, la polizia segreta della DDR, ora adibiti a archivio dove i liberi cittadini della nuova Germania riunificata possono accedere ai propri fascicoli e scoprire così se il Partito li spiava, e attraverso quali dei loro conoscenti. Un servizio di riparazione della memoria storica. Dietro la sete di conoscenza di Dryman si cela una tragedia personale: la sua amatissima Christa (Martina Gedeck) si è uccisa durante un’operazione della Stasi, tale era il senso di colpa per il tradimento del compagno.
Dryman si accorge leggendo i fascicoli che le conversazioni avute nel suo appartamento venivano deliberatamente travisate nel rapporto, e vi trova apposta sempre la stessa firma: HGW XX/7. Non sa perché quell’integerrimo ufficiale lo ha coperto e gli ha salvato la vita, né lo saprà mai, ma attraverso l’archivio scopre che è il capitano Gierd Wiesler (Ulrich Muhe) e decide di cercarlo.
Quando lo trova, diventato un umile postino, il volto sempre apatico, spettro nel nuovo mondo che mal lo accoglie quanto il vecchio, lo scrittore rimane bloccato. Non riesce neanche ad avvicinarsi, ora che i ruoli si sono invertiti ed è lui in posizione di privilegio. Così non gli parla. Molto tempo dopo però Wiesler troverà in libreria l’ultima fatica di Dryman con la dedica “A HGW XX/7”. Accenna il suo unico sorriso in tutto il film e ne acquista una copia.
Dryman trova quindi un modo alternativo per parlare col suo benefattore, e per dire la verità. Ma è davvero così? Le vite degli altri, primo lungometraggio del nobile Florian Henckel von Donnesmarck, alla sua uscita venne osannato da critica e pubblico ma ricevette anche le rimostranze di alcuni registi cresciuti in giovinezza nella DDR (si pensi ad Andreas Dresen) preoccupati che la memoria storica della Germania Est fosse ostaggio della visione degli abitanti dell’Ovest (come è von Donnesmarck). I rapporti tra le due Berlino erano (e in parte sono) ancora tesissimi ma in fondo il film non è che un abile melodramma con una idea eticamente forte: ristabilire i fatti, dopo un’epoca in cui contavano solo le dietrologie, i sospetti, i sottintesi, le afasie, è opera di meritoria igiene politica e intellettuale.
Tutto sta nell’accertarsi che sia davvero possibile farlo. Non è chiaro neanche allo spettatore quale sia la molla che fa scattare in Wiesler – all’inizio granitico e ferino difensore dello status quo – l’istinto a ‘tradire il socialismo’ e la DDR: ma non sembra siano i discorsi di Dryman, quanto la poesia, la musica, la storia d’amore tra lo scrittore e l’attrice. Non è a livello ideologico che Dryman colpisce, inconsapevolmente, Wiesler. La verità che attraversa la mente dell’aguzzino non è una verità razionale, linguistica, adamantina. Per difenderla Wiesler mente, nasconde, fa doppi e tripli giochi.
E il gesto di Christa non ristabilisce l’ordine, né mette in chiaro chi ha fatto cosa; il superiore di Wiesler lo intuisce ma punisce il suo sottoposto senza svelare la verità. Tutto è eseguito nell’ombra, tutto è silenzioso, sottaciuto, ormai irrimediabilmente inquinato dal sospetto, dal costante sotterfugio, dalla diffidenza reciproca. L’illuminazione di Wiesler rimane silente, lui sente comunque di aver fallito, la sua parabola umana conduce all’apatia, all’ectoplasma. Quel sorriso finale forse è una rivalsa verso la realtà. Eppure neanche l’epigrafe di Dryman contiene la verità: l’identità del benefattore è ancora nascosta dal nome in codice. Come se l’opprimente cappa di menzogna del socialismo reale avesse sporcato la realtà al punto tale che, anche quando parziali verità siano possedute da singoli uomini, esse rimangano incomunicabili all’esterno.
Il film
Le vite degli altri
Drammatico - Germania 2006 - durata 137’
Titolo originale: Das Leben der Anderen
Regia: Florian Henckel von Donnersmarck
Con Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Martina Gedeck, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer
Al cinema: Uscita in Italia il 06/04/2007
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