Prima che la città venisse rasa al suolo da un incendio e distrutta da un massacro, c’era un’incisione, all’ingresso della miniera di Dogville: “Dictum Ac Factum”. Detto-fatto, semplicemente. Espressione delle più comuni, che esprime la coincidenza tra il dire e il fare, tra il pensare e l’agire, quasi nelle forme di uno schema basato sulla concordanza tra linguaggio ed esistenza. Pensiero latino – quello della consecutio temporum, e cioè della necessaria coordinazione tra tempo della frase principale e tempo della frase subordinata – ma anche, in fondo e prima, pensiero greco – l’intellettualismo etico, da Socrate in poi concezione per cui la conoscenza del bene porta direttamente all’azione buona. Pensiero occidentale, insomma, che dai costrutti della sintassi a quelli della morale sprizza fiducia nel linguaggio come forma trasparente, chiave di volte della costruzione sociale, ideale politico di comunità.

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Si rifugiava sempre sotto a questa scritta, Grace, quando qualcuno che poteva scoprirla saliva in macchina da Elm Street. Era stato Tom a condurla lì, perché Tom sapeva che cos’era per il meglio e lui di certo, scrittore con l’ambizione dell’illuminismo sociale, aveva ragione: a Dogville, placida cittadina americana dimenticata in un’insenatura tra le Montagne Rocciose, si poteva stare tranquilli e sicuri, perché, anche se il paese era ormai un po’ desolato e tutti si odiavano a vicenda, in fondo tutti erano onesti e nessuno si sarebbe fatto del male. E poi doveva essere un segno del destino che lei, la grazia fatta persona, cuore puro e ingenuo, fosse capitata proprio lì nel nulla, tra il dire e il fare quotidiano di questo gruppo abbandonato a se stesso.

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Nessuno ai comizi cittadini credeva più molto alle sue teorie, ma invece aveva ragione, e Grace avrebbe solo dovuto dargli una mano per illustrarle, dando un po’ corpo alle idee: era un fatto di inoppugnabile logica che la sua buona volontà potesse ricostruire la vita della città e farla fiorire come mai prima. Bastava fare qualcosa per gli altri, ecco, un lavoretto, magari potare i cespugli o tenere compagnia. Aveva senso rifiutare di collaborare in una così pacifica recita sperimentale? D’altra parte, nessuno aveva poi tanto bisogno di lei: cucinare per il tuttofare Ben, pulire l’invalida Olivia, girare le pagine di Marta per farla suonare al piano, per non parlare di curare l’ipocondria del dottor Edison o badare ai bambini di Vera, non doveva essere così faticoso. Tom diceva, Grace faceva, e così per tutto il giorno, ordine e azione, secondo programma consequenziale, lungo le geometrie di una città che solo a un occhio esterno, a qualcuno di sospettoso e diffidente, potevano sembrare le forme di un diorama infernale, una prigione di maschere costruita sulla compiacenza e sulla manipolazione.

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Come poteva Grace rifiutare di fare i doppi turni dopo che la polizia aveva aumentato le ricerche e l’obbligo morale dell’omertà gravitava su tutti i compaesani? Tom la rassicurava che mantenere pulita e funzionante la sua città ideale, la loro ideale repubblica fondata sul linguaggio assertivo, avrebbe scacciato finalmente anche le cattive pulsioni degli uomini e le maldicenze delle donne. Chuck poteva stuprarla, Vera accusarla, Jack molestarla, ma lui la amava, e niente avrebbe infranto la sua promessa creativa di felicità, neanche le catene appese al collo di Grace. C’era una colpa nel cedere alla tentazione della debolezza e approfittarsi di qualcuno disposto a concedere la propria gentilezza al punto da annullare ogni pretesa di diritto? La grazia non era caduta nell’abisso del vilipendio, ci si era gettata: schiavizzarla non era forse naturale? Avrebbe mai potuto, Grace, odiarlo, odiarli tutti, se in fondo era stata complice della loro così solerte onestà? Lei stessa se l’era chiesto troppo tardi.

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E ora che, dopo tutto, suo padre era arrivato a farle la predica sull’arroganza della sua bontà senza limite, senza disegno, senza progetto concreto, le sembrava davvero difficile rispondere a queste domande senza pensare che forse non poteva dirsi complice di un bene così limitato come quello dei compaesani e del loro arbitro morale. Ora che poteva fare davvero del bene, ora che le avevano insegnato quanta poca distanza c’era tra il dire e fare, bastava alzare la voce e ordinare la cosa giusta, l’azione buona, alla gang di malavitosi del padre mafioso: uccidere gli uomini, sopprimere donne, bambini e finanche i neonati, bruciare le case, trasformare la luce in cenere.

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Cancellare con un colpo di spugna la commedia, quella piccola storiella di perfetta comunità fondata sulla bontà del lavoro e del rispetto verso il prossimo che secondo il suo ideatore avrebbe dovuto essere edificante e per lei aveva invece solo significato una parte da comparsa sempre e solo prestata al dolore. Il mondo sarebbe stato meglio senza che questa barzelletta infelice, questo esperimento non abbastanza virtuoso, si potesse ripetere, e quindi era cosa buona e giusta rimuoverne le tracce dal teatro dell’esistenza. Di Dogville, tanto, nessuno si sarebbe ricordato.

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Se qualcuno in futuro fosse passato di lì, attraversando le montagne, non avrebbe trovato più nulla: né la missione religiosa, né il vecchio furgone, né la casa dei bambini. Avrebbe magari sentito giusto un latrato, quello di Moses il cane. Grace lo aveva lasciato in vita. Forse per lei, ormai, il suo incomprensibile guaito isolato nel buio era risuonato meno menzognero delle parole di chi una volta le aveva fatto pensare di poter vivere senza paura nell’utopia del linguaggio.

Autore

Leonardo Strano

Leonardo Strano si è laureato in Filosofia dell’Esperienza Estetica con una tesi sull’inconscio ottico in Walter Benjamin e Jacques Tati (il suo regista preferito). Mentre prosegue gli studi in Teoria dell’immagine scrive per Filmidee, Pointblank e DinamoPress.

Il film

locandina Dogville

Dogville

Drammatico - Danimarca/SF/Germania/Italia 2003 - durata 165’

Titolo originale: Dogville

Regia: Lars von Trier

Con Stellan Skarsgård, Nicole Kidman, Siobhan Fallon, Chloë Sevigny, Patricia Clarkson, Jeremy Davies

Al cinema: Uscita in Italia il 07/11/2003