Bernardo Bertolucci aveva capito una cosa del western: l’importanza dei cavalli. O meglio, dei loro culi. È lo stesso Bertolucci a segnalarlo, nel racconto di quando Sergio Leone gli telefonò a casa, per chiedergli se gli fosse piaciuto Giù la testa, che avevano visto nella stessa sala proiezioni di Roma.  “Risposi di sì, ma non gli bastava. Sergio voleva sapere perché. Così risposi con una frase che penso gli sia piaciuta molto, e dalla quale fu quasi sedotto. Dissi che mi piaceva il modo con cui filmava i culi dei cavalli. In generale, nei western sia italiani che tedeschi, i cavalli venivano ripresi frontalmente e di fianco - di profilo. Ma quando li filmi tu, gli dissi, mostri sempre i didietro; un coro di didietro. Sono pochi i registi che riprendono il retro, che è meno retorico e romantico. Uno è John Ford. L’altro sei tu”.

Sergio Leone
Sergio Leone - L'italiano che inventò l'America (2022) Sergio Leone

Leone deve essere rimasto colpito dalla semplicità con cui Bertolucci, utilizzando la chiave espressiva del deretano dei cavalli, era riuscito a risalire alla continuità storico-teorica che il regista della Trilogia del Tempo forse desiderava implicitamente asserire, ovvero quella tra il modernismo della fondazione fordiana e il postmodernismo della propria possibile ri-fondazione. Che fine aveva fatto questa continuità però, vent’anni dopo, quando negli anni Novanta il western vinceva agli Oscar con Balla coi lupi e Gli spietati, in qualche modo decretandone ufficialmente la fine di fronte all’industria?

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Balla coi lupi

Nel finale di Balla coi lupi non ci sono cori di didietro, anzi, i cavalli secondo la lettura bertolucciana sembrano avere solo un senso retorico: i panni sioux che coprono i loro corpi li rendono monumentali e romantici quanto le montagne che John Dunbar, ora Balla coi lupi, e Alzata con pugno devono attraversare per fuggire all’esercito nordista e proteggere l’accampamento Sioux.

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Balla coi lupi

Anche il profilo delle cose però può rivelare grandi registi. Ecco, infatti, che nelle ultime inquadrature della sua epica revisionista, Costner disegna la sommessa uscita di scena dei protagonisti come fosse il tema pittorico della fuga in Egitto: i fianchi dei cavalli percorrono il fianco più grande della montagna innevata, mentre i colonizzatori arrivano troppo tardi per attaccare e un lupo ulula in controluce per l’ultima volta.

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Balla coi lupi

Questa panica triangolazione di segni è per Costner la chiave simbolica con cui intrecciare in definitiva il proprio punto di vista cristiano al punto di vista sincretico e così riscrivere il Mito della frontiera, ribaltarlo attraverso la logica dello scambio culturale. Tutto il film, d’altra parte, lavora su come smontare la polarità oppositiva dello scontro tra culture per ricavare invece una dialettica sintetica, orientata allo sconfinamento dato dalla frontiera come paesaggio naturale, come spazio naturalmente interstiziale, liminale.

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Balla coi lupi

Formalmente lo si nota su come il montaggio dissolve il più classico campo-controcampo in un movimento circolare, comprensivo, unico, che si riunisce sotto al cielo. Costner filma il rapporto proporzionale terra-cielo in modo unico, perché usa le due sezioni come lingue che si articolano intorno al corpo a seconda dell’armonia che il corpo stesso sente nello spazio.

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Balla coi lupi

Il film si apre gentilmente come una scatola, abbandonando per gradi uno sguardo della terra (lo sguardo militare) e accogliendo invece l’immensa prateria dell’azzurro che poi si fa buio stellato (lo sguardo nativo). Anche quando il movimento è contro intuitivo, la macchina da presa va a terra per filmare i corpi dal basso verso l’alto e mostrarli uniti dal cielo, fino a quando la luce non coglie i soggetti esattamente a metà tra terra e cielo.

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Balla coi lupi

Narrativamente invece colpisce la costruzione di un avvicinamento progressivo che poi si fa baratto di vesti, oggetti, identità: è il viaggio di scoperta identitaria di Dunbar, tenente dell’esercito nordista che dopo un tentativo di martirio (cristologico, si direbbe a posteriori) scambiato per indefesso eroismo, sceglie di ignorare gli onori militari, si isola e si lega alla cultura Sioux. Costner raccoglie i segni di una cultura altra, incorpora la lingua indigena, e usa le immagini come il suo personaggio usa il taccuino con cui prende nota dei costumi nativi; fa un cinema personalizzato e divistico, ma anche antropologico, e trova, negli anni ’90 della Guerra del Golfo, un modo equilibrato e accessibile, spettacolare ma etico, per rendere dubbie alcune certezze identitarie della soggettività statunitense. Cercando di spezzare i sigilli sepolcrali con cui i vincitori hanno interrotto la Storia dei vinti.

Autore

Leonardo Strano

Leonardo Strano si è laureato in Filosofia dell’Esperienza Estetica con una tesi sull’inconscio ottico in Walter Benjamin e Jacques Tati (il suo regista preferito). Mentre prosegue gli studi in Teoria dell’immagine scrive per Filmidee, Pointblank e DinamoPress.

Il film

locandina Balla coi lupi

Balla coi lupi

Western - USA 1990 - durata 180’

Titolo originale: Dances with Wolves

Regia: Kevin Costner

Con Kevin Costner, Graham Greene, Mary McDonnell, Rodney A. Grant, Floyd 'Red Crow' Westerman, Tantoo Cardinal

in streaming: su Amazon Prime Video Apple TV Amazon Video Rakuten TV Google Play Movies