La tenente Starck (Joely Richardson) si risveglia dal sonno criogenico, convinta di essere finalmente in salvo. Lei e gli altri due sopravvissuti della Lewis & Clark si sono ormai allontanati dall’astronave-pianeta Event Horizon, lasciando indietro i cadaveri dei compagni. Nel volto di uno dei suoi soccorritori rivede il famigerato dottor Weir (Sam Neill), i lineamenti solcati e tumefatti, e capisce di non essere ancora in salvo. Ma era una allucinazione, i compagni la tranquillizzano e il soccorritore rivela le sue vere innocue fattezze.
Sarebbe fin troppo banale ascrivere il discusso finale di Punto di non ritorno – Event Horizon (1997) di Paul WS Anderson al novero dei film-delirio in cui il confine tra realtà e sogno è abolito e lo spettatore non sa davvero se ciò che vede è nella testa dei personaggi o accade nella realtà narrativa. Ma le cose sono ad un tempo più semplici e più complesse di così. È possibile una interpretazione del finale, e quindi dell’intero film, che faccia appello alla psiche dei personaggi solo tangenzialmente, e si appiattisca su una visione puramente teologica, o meglio fanta-teologica.
Il titolo originale ‘parlante’ in italiano è solitamente tradotto con “Orizzonte degli eventi”, vale a dire – in fisica – il limite dell’universo conoscibile, tipicamente ciò che c’è oltre i bordi di un buco nero, al quale è possibile accedere (o così si ipotizza: nessuno lo ha mai fatto) tramite i cosiddetti ponti di Einstein-Rosen che mettono in collegamento la nostra realtà col suo “oltre” che è quindi un oltre-cosmico ma anche un oltre-umano.
Difatti sulla navicella Event Horizon, costruita dall’ambizioso dottor Weir, una gigantesca sfera armillare (cioè il modello sferico dell’universo pensato da Eratostene e diventato nei secoli un vero e proprio oggetto estetico) posta al centro della stessa permette ai viaggiatori di sparire in un buco incomprimibile per poi tornarne devastati nel fisico e nella mente. Cosa c’è al di là del buco? È chiaro fin da subito: l’inferno. Un inferno terribilmente simile a quello di Hellraiser (e la metamorfosi finale di Sam Neill in una specie di Pinhead lo conferma).
Torture, decapitazioni, oggetti di (s)piacere sadomaso usati come laceratori di carne. E di rimando una serie di allucinazioni legate a specifici sensi di colpa. Non tutti ne hanno, non a caso Anderson ci mostra solo quelle di chi ha subito dei forti traumi (lontananza del figlio, suicidio della moglie) e infine il nuovo trauma: quello di Starck che ha appena vissuto la morte e la distruzione del suo equipaggio nonché il sacrificio del suo superiore Miller (Laurence Fishburne).
Al netto dei numerosissimi rimandi, e degli altrettanto variegati clichè di cui il film è cosparso (2001. Odissea nello spazio, gli Alien degli anni ‘90, ovviamente le visioni mistiche che rimandano a Solaris ma anticipano di poco Sfera di Barry Levinson, e perfino il body horror di Yuzna e Gordon) il core, cioè il nucleo (come Weir chiama la sfera armillare) non è altro che il modo più truculento possibile per accedere a una realtà oltremondana, di quelle solitamente attribuite al pensiero religioso, e trovarvi l’orrore puro, la sofferenza fisica concreta.
Una versione scientifica dei deliri di Clive Barker, appunto. Se c’è qualcosa di psicologico nel film questo è un semplice effetto di ciò che si è visto, una prevalenza della scopofilia sulla schizofrenia. L’allucinazione finale di Starck è perciò l’ultima di una serie di visioni oggettive degli orrori autenticamente vissute, che non possono sparire con la semplice salvezza della propria pelle, perché capaci di andare molto più a fondo. L’inferno che ci rimane dentro.
Il film
Punto di non ritorno
Fantascienza - USA 1997 - durata 95’
Titolo originale: Event Horizon
Regia: Paul W.S. Anderson
Con Laurence Fishburne, Sam Neill, Kathleen Quinlan, Joely Richardson
in streaming: su Paramount Plus Paramount Plus Apple TV Channel Apple TV Google Play Movies Rakuten TV Microsoft Store Paramount+ Amazon Channel Amazon Video
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta