Un giovane uomo, Samet, ha soffocato sotto la neve di un piccolo villaggio dell’Anatolia sogni, aspirazioni, capacità di fuggire e costruire. Da quattro anni “fa il professore”, cercando d’insegnare. Divide l’appartamento con un collega, Kenan, le serate in un negozio-antro a parlare di politica, le giornate con i colleghi, a scuola. È una Turchia maschile nell’esperienza messa in scena, e nell’immagine messa in quadro, da cui le donne sono praticamente assenti.
La vita di Samet è messa in crisi da due attraversamenti femminili: la studentessa Sevim, che lo accusa di molestie, e l’insegnante Nuray, militante di sinistra, una gamba amputata dopo un attentato suicida, che ne accende il desiderio, o forse solo il risentimento. Il senso del film si costruisce essenzialmente in una geografia dell’inquadratura frontale, le relazioni e il destino dei personaggi sono determinati dal loro collocamento nello spazio, dalla loro “visibilità”, e dal loro essere più o meno persi nel bianco (la neve) o nel nero (l’ombra, la notte, l’angolo cieco), coperti da altri corpi, tenuti ai margini o espulsi dal quadro. Non si abusa del ricorso al termine tableau vivant, perché le foto scattate da Samet sono quadri (le usa per proporre agli studenti soggetti da ri-produrre, più che per ricordare), ma attraversati da piccoli slanci vitali, correnti elettriche.
Ceylan si prende quasi tre ore e mezza di racconto e le riempie di dialoghi, riuscendo a dire tutto quello che gli interessa, su tutti i suoi temi ricorrenti: la situazione politica in Turchia, il ruolo della donna, l’impegno civile, le forme dell’opposizione possibili, il degrado dell’apparato pubblico, la condizione delle classi subalterne e dell’intellettuale. È cinema che sembra scagliare un pamphlet di 400 pagine contro una tela di Pieter Brueghel o di Rembrandt: sempre a rischio di lacerarla, ma se la costola si spezza nel modo giusto, le immagini vengono invase dalle parole. Pochi registi oggi sanno esprimere la stessa forza, e disciplina, nel dare sostanza politica alla realtà attraverso la proporzione dell’inquadratura, ma non c’è soltanto l’equilibrio tra organizzazione raggelante della forma e profusione fluviale dei dialoghi.
Tutto il film è percorso da una sensazione perturbante, che passa sottopelle, come un brivido, o sottoterra, come una sorgente, e riguarda lo sguardo che Samet rivolge ai due personaggi femminili. Ed è uno sguardo di desiderio: Samet è davvero attratto (sentimentalmente, idealmente, poeticamente, sessualmente?) dal corpo mancante (perché adolescenziale) di Sevim, ed è davvero mosso dalla ricerca di un godimento sfrenato (di strupro, di rivalsa, di vendetta, di rivendicazione?) attraverso il corpo mancante (perché mutilato) di Nuray. Come possiamo saperlo? Non grazie a quello che dice, ma a come guarda: Ceylan riesce a costruire un dispositivo trifocale, in cui lo sguardo del regista, del personaggio e dello spettatore si sovrappongono e si alternano senza coincidere mai del tutto. Ne deriva un’inquietudine sottile, per una volta pungente, e non sudata.
Il film
Racconto di due stagioni
Drammatico - Turchia, Francia, Germania, Svezia 2023 - durata 197’
Titolo originale: Kuru Otlar Üstüne
Regia: Nuri Bilge Ceylan
Con Merve Dizdar, Deniz Celiloglu, Musab Ekici
Al cinema: Uscita in Italia il 20/06/2024
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