Mark (Sam Neill) e Anna (Isabelle Adjani), coniugi in (devastante) crisi, salgono le scale a spirale del condominio in cui abitano mentre la polizia li insegue. Gli spari e le urla si susseguono e i due non riescono a raggiungere l’appartamento, morendo dissanguati sui gradini.
Si avvicina a loro un terzo individuo che si scopre essere identico a Mark, pronto a raggiungere la “sua” Anna, vale a dire la maestra elementare Helen (anch’essa interpretata da Isabelle Adjani), mentre il figlio della coppia annega nella vasca da bagno e il volto angelicato di Helen si piega a un sardonico sorriso; fuori allarmi, luci stroboscopiche e bombardamenti precludono a una escatologica deriva post-atomica. La crisi della coppia borghese si allarga fino a diventare manifestazione interiore di una Apocalisse esterna.
Possession è il film più noto della delirante carriera di Andrzej Zulawski ma non è più enigmatico e criptico degli altri. Il finale non solo non rischiara del tutto il resto dell’opera, decidendo a favore di una delle miliardi di (farfuglianti) ipotesi possibili, ma aggiunge altra carne al fuoco. Se chiedessi a Chat Gpt di indicarmi una lettura teologica del finale la “macchina” mi risponderebbe in modo adeguato e coerente citando, tra i punti elencati (a Chat Gpt piace esprimersi per punti parrebbe), “Angelicazione e peccato” (in riferimento alla visione celestiale di Anna sotto forma di Helen e al contempo alle colpe, innanzitutto sessuali, che Anna si autoattribuisce interiorizzando i giudizi del marito), nonché “Riflessioni sulla maternità e il sacrilegio” (il doppio di Mark non è niente altro che il mostruoso polpo assassino ed erotomane che la stessa Anna ha partorito in una delle scene più famose e disturbanti).
Ovviamente si può chiedere alla macchina anche molto altro e lei saprà darvi una visione esaustiva del film, avanzando ipotesi sul tema del döppelganger e sulla perdita di identità (e, ça va sans dire, posso chiedere a lei di scrivere lo spoiler): cosa se ne dovrebbe dedurre? Che nonostante la complessità e i molteplici livelli di lettura tutto si può riassumere in poche parole, persino qualcosa di così incomprensibile a prima vista può essere spiegato in modo chiaro, se non cristallino. Mark e Anna si amavano e ora si odiano e si odiano proprio perché si amavano e dovevano soddisfare aspettative e esigenze reciprocamente avanzate (mai in modo troppo esplicito: da lì origina la malattia mentale) e incarnatesi in doppi irreali che finiscono, alla fine, per surclassarli e annichilire sia il rapporto che il frutto del loro amore: il bambino (che rappresenta volendo il futuro – a questo Chat Gpt non ha pensato – e che muore esattamente come esplode tutto il mondo intorno sui titoli di coda).
Un amore tossico vissuto come intossicazione psichica in Mark e somatica in Anna: l’eccesso di angelicità del doppio di lei e l’eccesso teriomorfo del doppio di lui che si identifica anche come secondo figlio di lei, quindi maschio da accudire e che per questo diventa vampiro succhiasangue e devitalizzante. Futuro morto, passato inquinato e presente in cui sopravvivono solo le versioni ‘ideali’ (in senso tecnico) dei protagonisti a scapito delle loro occorrenze concrete.
Possession è un film materico contro le idee/idealizzazioni e contro le ipostatizzazioni dei sentimenti e della vita di coppia. Se allarghiamo la prospettiva all’intero film si aggiungono molti altri dettagli e personaggi (un esempio: la casa di Anna e Mark si affaccia sul Muro di Berlino, metafora forse di grana grossa ma non ce ne si avvede nel blob babelico e ramificato dei significanti zulawskiani) che potrebbero ulteriormente confondere le acque, tanta è la voglia del regista polacco di accumulare nodi senza sbrogliare la matassa.
Eppure si può operare una impossibile sintesi, può farlo una IA in pochi secondi e un umano in qualche minuto; ma si deve farlo? Cioè l’impegno di Zulawski per accumulare segni e sensi non è forse la sostanza dell’opera? Non è forse ciò che la rende interessante? I simboli, una volta spogliati risultano faciloni, la morale (o le morali) vaghe e confuse, alcune metafore ugualmente inesplicabili (perché proprio il polpo?) e la sintesi puntuale e assiomatica di Chat Gpt è tanto precisa quanto noiosa. Parafrasando una battuta di Woody Allen: “Ho capito in pochi minuti di cosa parla Possession: di una coppia in crisi”. La difficile ricezione critica di Zulawski, esemplificata dal finale debordante e “accumulante” di Possession sta tutta qui: dopo l’atto della visione non c’è nulla di più rilevante da dire.
Il film
Possession
Drammatico - Francia/Germania 1981 - durata 127’
Titolo originale: Possession
Regia: Andrzej Zulawski
Con Isabelle Adjani, Sam Neill, Heinz Bennent, Margit Carstensen, Johanna Hofer, Carl Duering
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta