Il c’era una volta di questa folktale si colloca nel New England del 1630, un tempo lontano che «fu un po’ più esplicito in spietatezza», come scriveva Sebastiano Vassalli in La chimera (un’altra storia che ambienta nel Seicento tensioni moderne, che nasconde dietro il timore per la stregoneria il bisogno umano di trovare risposte all’inspiegabile, di puntare il dito verso un capro espiatorio per liberarsi dalla paura, dal sospetto, dalla paranoia). E in quell’epoca remota la vita è davvero spietata per Thomasin (la bravissima Anya Taylor-Joy, in un sorprendente esordio da protagonista), figlia maggiore di genitori estremamente devoti, catturata da Robert Eggers in quel delicato e spaventoso momento di passaggio che è la pubertà, metamorfosi chiaroscurale.
Di luci e ombre è dipinto The VVitch - opera prima del regista newyorkese, piccolo horror dal budget di quattro milioni e dall’incasso di oltre 40, film che rivela un autore e un’attrice, altra scommessa vinta per la casa di distribuzione A24, lanciata sulla strada per diventare il brand che è oggi -, di suggestivi e simbolici chiari e scuri, con la fotografia del DOP Jarin Blaschke, come se tutto il racconto fosse una struggente lotta tra luce e tenebre. Ma è con il favore della notte che si conclude il film: nella scena finale, Thomasin è rimasta sola, a farle compagnia c’è il caprone Black Philip, che la guida verso il bosco, luogo archetipico delle fiabe, spazio simbolico della prova, dove l’eroe/eroina supera la sfida e giunge al traguardo, alla maturazione.
Nella foresta, dunque, termina il coming of age della protagonista, che coincide con la sua emancipazione, con lo spogliarsi (letteralmente) dei ruoli imposti da altri: all’inizio, Thomasin è stipata dentro panni opprimenti che ne celano la figura (il corsetto e i capelli raccolti e nascosti pudicamente sotto la cuffietta);
ma la carne trabocca, il solco dei seni sfugge alla veste bianca e ammalia il fratello Caleb, i ciuffi biondi scivolano via dalle trecce fino a sciogliersi del tutto sul suo corpo nudo - da confrontare la prima inquadratura, il volto serio di Thomasin, con quella finale, dove la ragazza ride, con la chioma selvaggia e le macchie di sangue a incorniciarle il viso, così iconograficamente simile a Carrie.
Nell’ultima scena, l’apprendista strega assiste alla visione del sabba, al volo delle streghe (come nel quadro di Francisco Goya, qui visivamente richiamato), prima di prendere anche lei parte al rituale e lib(e)rarsi in aria, forte di un’inedita consapevolezza di sé e del proprio potere. E finalmente, dopo essere stata ripudiata dalla famiglia dalla quale voleva solo ricevere un po’ di amore (nell’ultimo fatale confronto con la madre, Thomasin ripete con ostinazione «ti voglio bene»), viene accolta da una comunità.
Di fronte a questa liberatoria danza aerea, tornano in mente le parole di Sylvia Townsend Warner nel romanzo femminista Lolly Willowes o l’amoroso cacciatore (1926): «Ecco perché diventiamo streghe: per mostrare il nostro disprezzo a chi finge che la vita sia un luogo sicuro, per soddisfare la nostra passione per l’avventura», perché «le donne lo sanno di essere dinamite, e non vedono l’ora che si verifichi l’esplosione che renderà loro giustizia».
Il film
The Witch
Horror - USA, Canada 2015 - durata 87’
Titolo originale: The Witch
Regia: Robert Eggers
Con Anya Taylor Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Lucas Dawson, Ellie Grainger
Al cinema: Uscita in Italia il 18/08/2016
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Rakuten TV Amazon Video
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