I sogni di un robot

In Il mio amico Robot l’animazione a linea chiara di Pablo Berger e del suo team di animatori (tutti di livello altissimo, dal José Luis Ágreda di Buñuel - Nel labirinto delle tartarughe a Benoît Féroumont, già collaboratore di Sylvain Chomet e Tomm Moore) funziona da macchina del tempo. Con i suoi colori tenui e la sua dolce consistenza, il film porta nella New York anni 80 (forse il 1986, anno del racconto Sogni di robot di Asimov a cui in originale ruba il titolo) come in un sogno piacevole e malinconico, talvolta anche desolato.

L’assenza di contrasti e ombre lascia spazio all’emotività dei personaggi, anche se questi sono un cane che soffre di solitudine e un robot acquistato via posta (l’origine della storia è un graphic novel di Sara Varon, autrice di favole abitate da animali con abitudini da esseri umani). Tornando a lavorare senza la parola dopo il muto Blancanieves, Berger usa gli occhi delle sue creature e i riferimenti visivi, musicali e culturali (dal leitmotiv September degli Earth, Wind & Fire alle sonorità jazz della colonna sonora all’onnipresente sagoma delle Torri gemelle) per costruire un tessuto emotivo di affetti, speranze e, per l’appunto, sogni (altro che pecore elettriche: qui l’androide sogna vere e proprie trame freudiane...) che porta nell’animazione fanciullesca il dolore della perdita.

I due protagonisti del film diventano amici, si separano loro malgrado e provano in tutti i modi a ritrovarsi, salvo muoversi, come nella vita vera, ciascuno per la propria via, e dunque allontanarsi... L’attesa dell’incontro guida la visione, ma lascia probabilmente ai soli adulti il piacere dolceamaro della conclusione.

Il film