Jonathan Glazer non adatta La zona d’interesse di Martin Amis. Lo riduce ai minimi termini (come già fece in Under the Skin col romanzo di Michel Faber). Lo spoglia. Ne riprende, esclusivamente, quel che è mostrabile. Ci sono tre storie, nel romanzo. Due ufficiali SS, un Sonderkommando. Fa sintesi delle prime due. E cancella l’ultima, che rientra, poi, in forma documentale (testo in calce, come sottotitolo, a ritmo di musica, ma privo di voce: non è un caso). Quel che resta è la vita oscenamente tranquilla di Rudolf Höss, primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz, e della sua famigliola.
La commedia disumana, appena fuori dal lager. Una villetta, con servitù. Un giardino, curatissimo. I problemi? Come crescere i figli. Come coniugare privato e lavoro. E poi, certo, anche come gassarli tutti. Mere questioni logistiche. La banalità del male, purissima. È come se Glazer semplificasse Amis al dispositivo. Giusto così: la letteratura tradotta nel cinema. La parola che si fa immagine giusta. La zona d’interesse è, soprattutto, questione di come. Un come che è summa e bignami delle teorie sulla (non) rappresentabilità dell’Olocausto. Sintesi formale. Semplice. Evidente. Geniale. Ci sono dieci videocamere, gestite da remoto, a controllare la casa e il giardino. Di fronte a queste, solo gli attori: chiamati a un re-enactment storico che si vuole con la S minuscola, a rivivere la pace quotidiana a una siepe dall’abiezione. Come se nulla fosse. Come in un reality show: casa e giardino sono luoghi dove regna una visibilità totale, siderale, che si crede assoluta. Tanto che il tutto è montato rimarcando i raccordi di movimento, seguendo le persone spostarsi da una stanza all’altra, da una (video)camera all’altra.
Come a costruire, stacco dopo stacco, il proprio mondo chiuso, come a valicare solo confini interni. Perché le soglie che i personaggi scelgono di attraversare sono esclusivamente quelle, comode, della propria scena. Nessun primo piano: il punto è il set. La logica, l’ideologia, di questo worldbuilding. Oltre, c’è l’indicibile. Il non rappresentabile. L’osceno. Il fuoricampo. Il film si apre in nero, con la colonna sonora di Levi a ricostruire il possibile rumore dell’inferno. Poi ci saranno anche il bianco, e il rosso, in noise. Ma di quel glaciale reality show (che è un prequel dell’Austerlitz di Loznitsa) esiste non solo il fuoricampo, ma anche il negativo: gli inserti di una bimba che nasconde cibo nel campo, girati con camere termiche.
L’unica forma di calore. Un’immagine astratta, che non appartiene a quel reale, alle forme del suo visibile. Infine, c’è l’unico controcampo possibile: nel solo raccordo di sguardo del film, in uno stacco kubrickiano, Höss vede, - attraverso un buco nel nero (e non per nulla mentre rigurgita sangue) - le immagini di Auschwitz oggi, un lacerto di documentario di operaie al lavoro nel luogo. L’occhio esce dalla scena, entra nella Storia. È un film contemporaneo, questo: di echo-chamber, oltre negati, disparità di visibile. Non solo un film sull’Olocausto. Il perché lo capite da voi.
Il film
La zona d'interesse
Drammatico - Regno Unito, Polonia, USA 2023 - durata 106’
Titolo originale: The Zone of Interest
Regia: Jonathan Glazer
Con Sandra Hüller, Christian Friedel, Ralph Herforth, Max Beck, Stephanie Petrowitz, Marie Rosa Tietjen
Al cinema: Uscita in Italia il 22/02/2024
in streaming: su Amazon Video Google Play Movies Rakuten TV Apple TV
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