Tra i cineasti del disagio, Yorgos Lanthimos è l’unico ad aver fatto il vero salto commerciale. Il regista greco si è conquistato presto l’attenzione delle produzioni televisive inglesi e poi quelle delle distribuzioni americane (e quindi globali), molto più di quanto abbiano mai fatto registi del suo genere. Come? Non con la durezza teorica di un Haneke, le provocazioni autodistruttive di un von Trier o la confusione situazionista di un Östlund, ma piuttosto con una precisa vocazione mercantile: soddisfare il desiderio di godimento del pubblico contemporaneo.

Daniel Auteuil, Juliette Binoche
Niente da nascondere (2005) Daniel Auteuil, Juliette Binoche

Non un godimento qualsiasi o generico, d’intrattenimento, ma piuttosto identitario, personale, si direbbe d’agenzia. Una voglia di riconoscersi e di essere in controllo, sapersi intelligenti e soprattutto partecipi, o meglio, posizionati. Nei confronti degli altri, del resto del mondo, della cultura, della società. Desiderio di posizionamento rispetto al capitale culturale: questo è quello che Lanthimos ha cercato di solleticare da subito nel pubblico. Ora il suo cinema sembra diverso rispetto al passato, più grande, ricco ed equilibrato, ma le sue strategie sono le stesse da quindici anni, quando manipolava gli indici di godimento della nicchia dei festival d’autore - forse la categoria in assoluto più desiderosa di certezze identitarie - facilitando il suo posizionamento intellettuale verso le questioni politiche del momento: il neoliberismo economico, la famiglia nucleare, gli effetti della globalizzazione sull’immaginario simbolico. I contenuti sono leggermente cambiati magari – la critica al neoliberismo si è focalizzata con il tempo più sul concreto corpo femminile che su quello astratto del gruppo famigliare - ma il modo di organizzarli è rimasto uguale. E cioè una programmatica reticenza a elaborarli.

locandina
Dogtooth (2009) locandina

In Dogtooth, per esempio, il valore metaforico della storia dei tre giovani reclusi sotto la custodia dei ricchi genitori borghesi in un’enorme casa isolata dal mondo è evidente ma mai del tutto chiaro. Le norme con cui il padre padrone trattiene i figli dalla scoperta del mondo sono raccontate a poco a poco ma non del tutto. Allo stesso modo, le motivazioni di tale inganno sono solo lasciate intendere. Per quanto possa sembrare paradossale, il secondo film di Lanthimos appartiene di più alla categoria degli impossible puzzle films americani che a quella di film come Il settimo continente: invece di fissare dei significati sulle pratiche ideologiche contemporanee, preferisce suggerirne una quantità abbastanza definita per essere un oggetto urgente e altrettanto indefinita da contenere più punti di vista in merito (tutti devono poter dire la loro!), rimanendo comunque irrisolto.

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Dogtooth

A differenza dei tragediografi connazionali che lo hanno di molto preceduto, Lanthimos pare pensare che la catarsi sia un’invenzione senza futuro: lo spettacolo deve ancora essere tragico, suscitare pietà e terrore, ma l’elaborazione dello spettatore non va liberata, piuttosto chiusa in una coazione a ripetere. Dogtooth per questo non ha un vero e proprio finale. Nelle ultime scene, all’anniversario di matrimonio dei due folli genitori, i figli si esibiscono in una performance musicale. La figlia maggiore decide di cambiare la coreografia impostale ed esibire invece quella del film Flashdance: ha ormai deciso di scappare.

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Dogtooth

Servendosi di un manubrio, la ragazza si fa saltare un canino (la “regola” per poter vivere fuori dalla casa) e si nasconde nel bagagliaio della macchina del padre. L’uomo la cerca nei dintorni di casa, senza trovarla, mentre i restanti membri della famiglia abbaiano per tenere lontani i gatti (“esseri demoniaci molto pericolosi nel mondo di fuori”). Il giorno dopo il padre si reca normalmente al lavoro e lascia l’auto incustodita, ignorando il contenuto del bagagliaio.

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Dogtooth

Ci sono molti modi sufficienti di interpretare questa catena di eventi simbolici e nessuno necessario. Come intendere la funzione redentiva di Flashdance, per esempio? Lanthimos incorpora un modello di cultura industriale americano e rimane ambivalente a riguardo: lo fa per riconoscere nell’appropriazione di un linguaggio commerciale l’unica risorsa per vivere al tempo della globalizzazione atlantista? Oppure si tratta di una lusinga alla felice visione del corpo nella cultura dello spettacolo? Entrambe le cose assieme e di nascosto? E in che modo questa ambiguità gli ha consentito di non essere indesiderato sul palcoscenico dei grandi studios? Non è possibile essere conclusivi, perché non è mai stato consentito dal film.

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Dogtooth

“Facciamo un gioco a chi resiste di più” viene detto all’inizio dalla figlia più piccola. Dogtooth è questo gioco di resistenza, dove il disagio non genera risoluzione emotiva ma godimento interpretativo perpetuo. Lo spettatore che ha resistito, desideroso di responsabilizzarsi e avere un’opinione, accetta volentieri la riduzione di accesso ai significati perché in cambio riceve un forte coinvolgimento cognitivo. Lanthimos, intanto, lo ha posizionato a piacimento per tutto il film e alla fine lo ha messo davanti al bagagliaio della macchina. Sappiamo che il corpo della ragazza è lì dentro, ma il film finisce prima di poterlo confermare.

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Dogtooth

In teoria dei giochi questa strategia si chiama gioco a informazione incompleta con asimmetria informativa. Ma in questo caso appare come qualcosa a metà tra il trucco della donna tagliata a metà e il paradosso del gatto di Schröedinger: mentre l’impossibilità di definire precisamente il significato dell’inquadratura accresce il piacere nello scegliere una posizione personale rispetto al suo ambivalente capitale culturale, il corpo della ragazza scompare solo per riapparire tre lustri dopo, vestita di tulle e desiderosa di libertà. Il bagagliaio si è aperto, insomma: la nostra capacità di analisi non è cambiata, vogliamo ancora giocare per definirci, solo che la povera creatura ora ha l’aspetto di Bella Baxter e ribalta il tavolo degli Academy Awards.

Autore

Leonardo Strano

Leonardo Strano si è laureato in Filosofia dell’Esperienza Estetica con una tesi sull’inconscio ottico in Walter Benjamin e Jacques Tati (il suo regista preferito). Mentre prosegue gli studi in Teoria dell’immagine scrive per Filmidee, Pointblank e DinamoPress.

Il film

locandina Dogtooth

Dogtooth

Drammatico - Grecia 2009 - durata 94’

Titolo originale: Kynodontas

Regia: Yorgos Lanthimos

Con Anna Kalaitzidou, Aggeliki Papoulia, Hristos Passalis, Christos Stergioglou, Mary Tsoni, Michelle Valley

Al cinema: Uscita in Italia il 27/08/2020

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