Due su un motorino

Bastano due per fare una coppia, ma basta una coppia per fare un film? Sì e no. Intanto, la coppia c’è, inedita e molto ben performante, Fabio De Luigi e Stefano Accorsi, fratelli coltelli, il primo, rinunciatario e passivo, rimasto sull’Appennino all’ombra del padre burbero un po’ tiranno (Haber, un lampo all’inizio) e il secondo, intraprendente e parecchio cialtrone, fuggito per tempo, dopo anni riuniti obtorto collo al funerale del genitore.

Qui c’è l’intuizione migliore, complice il fatto che i due protagonisti condividono la stessa regione d’origine, ma con differenti genius loci, De Luigi (anche regista, al terzo, e finora, migliore film, sempre con Colorado) romagnolo di Santarcangelo e Accorsi emiliano di Bologna, un fringe benefit ulteriore per chi ha orecchio. I problemi cominciano quando si deve andare oltre l’epidermide dei battibecchi e dei dispettucci reciproci e allora s’immagina un viaggio slow in motorino (a 50 km all’ora, appunto) fino a Cervia per disperdere le ceneri del babbo in mare, come da sue ultime volontà, facendo fuori tempo massimo quel viaggio mancato da adolescenti.

Il road movie à la Basilicata Coast to Coast si presta a (ri)cementare la fratellanza, tra incontri più o meno riusciti e un’esilarante scena di ballo. Ma, sotto quest’aspetto, il film, scritto da De Luigi con Giovanni Bognetti a partire dal tedesco 25 km/h, arranca spesso come i Ciao dei protagonisti sui saliscendi e qua e là s’ingolfa pure, quando sfiora questioni difficili da liquidare con una battuta (l’incontro di Accorsi con il figlio mai riconosciuto) o s’avventura in un finale non proprio chiarissimo nel volere far rileggere l’intera vicenda con altra consapevolezza. Carino, e nulla più.

Il film