“C’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza...”, cantava Giorgio Gaber a teatro e in un disco (teatrale) del 1974. E la ‘strada’ sembra essere davvero la sola via d’uscita per Thelma e Louise, due donne, due storie di violenza dietro la porta. Perché “nelle case non c’è niente di buono, appena una porta si chiude dietro a un uomo, succede qualcosa di strano, non c’è niente da fare, è fatale...” proseguiva Gaber e illustrava Ridley Scott diciassette anni dopo nel suo road movie senza ritorno.
Thelma & Louise si apre sul décor naturale dell’America profonda, desaturato e pizzicato dall’armonica di Hans Zimmer. Un movimento di macchina laterale scopre la strada di Gaber, quella della fuga, e accende i colori. Il cielo è improvvisamente blu e i credits scorrono neri sulle nuvole bianche, i nomi dei protagonisti scalano la montagna o scendono lungo la valle mai così verde, la strada è rossa come la sabbia dell’Arizona, dove il film condurrà le sue eroine. L’incipit è già la meta, il fine corsa di una Ford Thunderbird, modello 1966. Un cavallo verde brillante che appare al debutto e conduce il racconto, accelera sui tempi forti e sul finale, perché Ridley Scott ha sempre spettacolarizzato la morte dei suoi personaggi (Blade Runner, Il gladiatore...), la canonizzazione dei suoi eroi, definiti e distinti dal carattere eroico della loro fine. Fine che nega soltanto a Napoleone, l’uomo di guerra non morirà sul ‘campo’ di battaglia ma nel ‘fuori campo’. Una morte insulare, isolata, lontana da ogni sguardo.
La musica di Hans Zimmer sfuma col paesaggio e su una dissolvenza a nero. Poi la voce country di Kelly Willis (Little Honey) interrompe il buio e ci traghetta in un diner in pieno giorno. Le parole di questa melodia introspettiva, ode alla devozione delle donne, all’amore incondizionato, all’attesa di un ritorno a casa, quello dell’uomo amato e sempre altrove, fanno da ‘controcanto’ alle immagini che scorrono, come se la dinamicità di Louise trasgredisse l’immobilità del testo.
Perché Louise ‘si muove’, serve ai tavoli, dispensa consigli alle donne di domani e soprattutto chiama Thelma per ricordarle il loro viaggio puro. Il suo desiderio è ostinato e contrario ai versi della canzone. Non ha più intenzione di starsene in una casa vuota ad attendere il suo “piccolo tesoro”, sta cercando la lotta, Louise, la rissa, la porta, finalmente spalancata per lei e Thelma che scopriamo femme au foyer nella sequenza successiva.
In vestaglia e in ambasce è visibilmente dominata da un consorte volgare, infastidito dal tono della sua voce, dal suo amore e dalle sue attenzioni. Vorrebbe chiedergli il permesso di un weekend con Louise ma le parole non escono e affogano nel caffè che aveva preparato per lui. Ma quella indifferenza, quella insofferenza al suo zelo la convincono definitivamente a prendersi il diritto di andare.
Chiama Louise e un uomo risponde nel bailamme del ristorante, il primo di una lunga lista ad ‘abusare’ di lei, ad ‘avanzare’ richieste fuori luogo prima che Louise intervenga fermamente a rivendicare l’amica e ad anticipare l’episodio che farà deragliare il viaggio e la loro esistenza.
In un paesaggio made in USA, che esalta i cliché decorativi - le luci al neon dei motel, la poesia dei camion cromati, gli sgargianti cartelli pubblicitari e naturalmente il ‘fottuto’ Grand Canyon – la finezza del film sta nell’interpretazione iconoclasta del patrimonio americano più mainstream.
Come il décor della mitologia western, filmato ‘in grande’ e con l’avidità di uno straniero da Sir Scott, le due eroine incarnano la comune cultura americana: Thelma è una casalinga sposata con un venditore di tappeti vanesio e sessista, Louise è impiegata in un fast food e in una insoddisfacente relazione con un uomo monotono. Sono grandi amiche e per questo organizzano un weekend a bordo di una decappottabile. Occhiali da sole, tante risate, troppi bagagli, canzoni a palla sull’autoradio, un motel, un viaggio in macchina, un ‘saloon’ e una birra, questo è divertirsi per le ragazze. Ma la prima sosta si rivelerà fatale.
Una parola di troppo, il ‘gesto’ di un bifolco e bang, Louise spara per evitare a Thelma l’ennesima violenza. Il film esce dai binari e infila un’altra America, stringendo due donne nella morsa del dominio maschile e del machismo. Coi codici del cinema d’intrattenimento e un tono radicalmente opposto, Thelma & Louise suona le corde e il tema di Barbara Loden (Wanda): la fondamentale solitudine delle donne quando abbandonano il ruolo di moglie e madre, perdendo il loro posto in una società in cui non sono altro che prede per uomini a caccia.
Cambio di marcia, di segno e di canzone. È la Ballata di Lucy Jordan ad accompagnarle attraverso la notte e verso un volo tragico ma luminoso, perché attrazione per un mondo più grande. Si alternano al volante, braccate da una rappresentazione desolante del genere maschile: ‘mariti’ sconcertati dalle loro azioni, polizia, sceriffi e agenti dell’FBI che proprio non capiscono. Un bastimento di maschi la cui ‘pressione’ è già tutta nel debutto di questo road movie ribelle che non ha due uomini come protagonisti (Easy Rider) e nemmeno un uomo e una donna (Bonnie e Clyde) in un tripudio di gloria romantica, ma due donne che si emancipano, si trasformano e trasformano la loro amicizia in una sorellanza, una fusione assoluta contro la violenza, contro l’uomo della legge e la legge degli uomini.
Come la locomotiva gucciniana, Thelma & Louise è una bomba lanciata contro l’ingiustizia. È un manifesto pop più cinematografico che politico. Gran parte del piacere che procura la giustizia fatta dalle vittime deriva dalla consapevolezza di non guardare un dramma realistico sullo stato della relazione uomo-donna nell’Arkansas del 1991 ma di assistere all’intenzionale combinazione tra l’energia nichilista del genere e la fiammata euforica della cultura di Oprah Winfrey ai suoi albori. Persino la catena di decisioni sbagliate prese dalle nostre eroine risuonano come un soffio di liberazione personale. Se l’imminente senso di minaccia è già tutto nel tema di apertura di Hans Zimmer, l’incipit anticipa allo stesso modo una goliardia latente che esploderà a metà percorso davanti al torso nudo di un Brad Pitt ancora sconosciuto. Mascalzone biondo di Thelma & Louise è l’oggetto del desiderio di Geena Davis, che rifiuterà controfigure per girare lei stessa un ‘amplesso’ diventato cult come quel corpo ancora grezzo rotolato dalle montagne dell’Oklahoma.
Impossibile raccontare il debutto di Thelma & Louise senza menzionare il finale perché il ‘gran salto’ non suggerisce il suicidio come unica scelta per uscire dall’oppressione del patriarcato ma una strada che continua, un ‘andare avanti’. Fin dalle prime battute e nonostante gli ostacoli, le protagoniste fanno esattamente quello che volevano fare infilando la porta e lasciando alle spalle la zavorra di una vita “che puzza di chiuso e di cesso”. Come i loro riluttanti compagni anche Hollywood esitò a produrre questo “film per ragazze” che osava appropriarsi dei codici maschili di un genere ‘in fuga’. Ma la reticenza, ereditata dal cinema degli anni Settanta e Ottanta, che porta ancora le cicatrici del Codice Hays, è presto vinta.
Geena Davis e Susan Sarandon diventano i magnifici soggetti di un film scritto da una donna (Callie Khouri) e realizzato da un uomo (europeo!). Louise, piena di malinconia, Thelma, Baby Doll in fiamme, incarnano dietro al volante due donne esplosive e implose, belle e sconfitte, sciocche e riflessive, leggere e profondissime. A bordo della T-Bird fanno della “conquista del West” un territorio femminile, (ri)prendendo il controllo dei loro corpi e della loro apparenza: Geena Davis abbandonerà il ‘costume’ da casalinga sottomessa per un paio di jeans e Susan Sarandon scambierà crestina e grembiule con uno Stetson, sperimentando il ritorno alla donna indomita e senza artifici.
Perché al di là della cornice, è soprattutto interiore il viaggio che il tandem fuorilegge esplorerà pienamente, incarnando per sempre quel momento curioso della storia del cinema in cui le donne hanno conquistato il diritto di essere folli come gli uomini, di staccarsi da terra, di decollare verso la libertà e abbandonarsi all’ultima inquadratura come appartenessero all’immenso cielo d’America. Il brivido che provoca assomiglia al fermo immagine che precipita verso la morte Butch Cassidy e Sundance Kid (Butch Cassidy). A voi decidere se l’irrisolutezza di quel finale perfetto fissi il volo o la caduta. Ma a guardarlo bene ha lo slancio della vita.
Il film
Thelma & Louise
Drammatico - USA 1991 - durata 124’
Titolo originale: Thelma & Louise
Regia: Ridley Scott
Con Susan Sarandon, Geena Davis, Harvey Keitel, Michael Madsen, Brad Pitt
in streaming: su Apple TV Amazon Video Rakuten TV
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