Il 7 aprile 1927 Napoleon di Abel Gance debutta all’Opéra di Parigi su un triplo schermo accerchiato dalla partitura musicale di Arthur Honegger. 18 mesi di ripresa e 18 milioni di franchi, 40 vedettes, 200 tecnici, 6000 comparse, interi quartieri ricostruiti in studio, riprese in esterne reali tra Francia, Italia e Corsica, l’invenzione di nuove tecniche di regia per 290 ore di girato, relative solo al periodo giovanile di Napoleone precedente al Consolato.
Novantaquattro anni dopo, con 29 versioni distribuite, tra la più lunga e autentica “versione definitiva” mostrata a maggio all’Apollo (9 ore e 40, per la lunghezza di quasi 13 mila metri di pellicola e 666.000 fotogrammi) e la più deturpata “versione Metro Goldwyn Mayer” per il pubblico americano (1 ora e 51 minuti), il nuovo millennio si è assestato sulla riedizione curata nel 2016 da Kevin Brownlow – massimo esperto mondiale del film, l’ultimo a lavorarci dal 1980 dopo il passaggio di Francis Ford Coppola: 5 ore e 32 minuti, con l’immagine tripartita inclusa nel finale.
L’opera è incompleta, ne manca metà, e mai sarà diversamente: rimarrà per sempre una promessa – anni dopo sarà Kubrick a sperimentare l’interdizione che Napoleone produce ai tentativi di rappresentarne la vita.
Dice bene però Paul Cuff nel suo libro A Revolution for the Screen. Abel Gance’s Napoleon (inedito in Italia): pur essendo frutto di rovesci produttivi, la natura compromissoria dell’ultimo montaggio permette di riconoscere il profondo senso dell’opera, o meglio, la sua doppiezza. Perché se è vero che già da sempre il progetto era impossibile da terminare (Gance pensava a sei film per inscenare la vita di Bonaparte dall’infanzia alla morte, ma finì il budget per tutti e sei solo con il primo), è anche vero che da subito proprio questa impossibilità avvertiva dell’intenzione utopica dell’opera: ottenere la risoluzione delle asperità sociali e percettive generate dal primo conflitto mondiale attraverso l’immagine cinematografica dell’ultimo grande profeta, l’ultimo grande Alter Christus mai esistito, e cioè Napoleone.
Per Gance, influenzato dalle letture messianiche di Elie Faure e già dedito a progetti cinematografici sulla figura rivoluzionaria di Cristo, Napoleone era questo, “il volto di Dio nell’oscurità”, l’annuncio della possibilità di trasvalutare tutti i valori e in particolare di superare la natura verbale dell’insegnamento di Gesù attraverso una “poesia dell’azione” in grado di saldare oltre ogni partito politico (responsabile della frantumazione esistenziale) un anello di continuità tra i popoli e le nazioni, ispirandosi a un idealismo pacifista e organizzando un ordine federale repubblicano.
Interamente pensata come un furioso velo della Veronica dove tutta la realtà, dalla gravità agli elementi, è piegata per avvolgere e imprimere la luminosità cristica di Napoleone, l’opera fa esplodere il proprio proposito utopico davvero solo nell’ultima mezz’ora.
Napoleone entra di notte nelle stanze vuote dell’Assemblea Nazionale. Improvvisamente gli spiriti che hanno guidato la Rivoluzione gli appaiono (secondo un’idea di cinema come dialogo con l’oltretomba già visto alla fine di Per la patria, con il ritorno dei morti per reclamare giustizia e sigillare l’importanza del pacifismo eterno): Danton, Marat e Saint-Just lo invitano a rappresentare la Rivoluzione, riscattarla e internazionalizzarla, per “la liberazione dei popoli, la fusione della Grande Europa, la soppressione delle frontiere e la creazione di una Repubblica Universale”.
Antonin Artaud interpreta Marat ma Saint-Just, l’ultimo a incitare Napoleone, è invece Abel Gance stesso e non è un caso: mentre il rivoluzionario incita il futuro imperatore a ridisegnare il mondo, è impossibile non pensare che il regista non stia parlando a se stesso, prendendo esempio dall’ottocentesca federalizzazione napoleonica per completare il proprio sogno di una lega internazionale cinematografica, un’infrastruttura industriale chiamata “Occident” composta da varie compagnie europee.
Il compito di Napoleone per Gance prende vita simbolicamente con la Campagna d’Italia, ma il gesto è troppo grande per essere contenuto in un’immagine sola. La visione si spacca quindi in tre con il Polyvision, strumento di proiezione simultanea a tre rulli allineati in modo da generare un’immagine per la prima volta orizzontale.
Mentre il velo luminoso assume il rapporto d’aspetto di una gigantesca mappa – il regista pare avere la stessa ossessione per la perfezione dei cartografi borgesiani -, la legge prospettica di Napoleone, cioè la disposizione del paesaggio del mondo (guardato dalle Alpi italiane) intorno al volto dell’amata Josephine, sutura la ferita che per Gance impediva alla società di rialzarsi dalla disfatta mondiale: il fallimento dell’idealismo romantico.
Se la guerra mondiale è stata scatenata da una cattiva gestione del rapporto tra romantico impulso d’affermazione identitaria e tecnica moderna, con la potenza industriale a disposizione del nazionalismo, il cinema segna la possibilità di ripensare il rapporto in un senso virtuoso per la comunicazione umana. Perché attraverso l’immagine, e cioè la tecnica, lo sguardo del singolo, il soggetto romantico, può liberarsi e vedere il mondo come mai prima, in una pacifica estasi dei sensi condivisa.
Guidato dall’idealismo ottocentesco ma in possesso dei mezzi che saranno moderni, Napoleone/Gance vede attraverso le battaglie imminenti che il futuro è questa promessa, un puro flusso vitale teso tra una nuova proporzione matematica (una nuova geopolitica e una nuova tecnica) e l’eterna volontà di esistere, dipinta dei colori che rappresentano la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza.
Esisteranno mai schermi abbastanza grandi per tale promessa? Chissà. Un secolo dopo però, a modernità conclusa, è per la committenza di un piccolo schermo che l’immagine dell’imperatore assumerà, per mano di Ridley Scott, un ruolo profetico molto diverso: non utopico voto di modernità rivoluzionaria ma stampo originario della duplicazione incontrollata di immagini senza più epica, fragili e ridicole come il profilo di uno schizzo satirico.
Il film
Napoleon
Biografico - Francia 1927 - durata 110’
Titolo originale: Napoléon vu par Abel Gance
Regia: Abel Gance
Con Albert Dieudonné, Annabella, Antonin Artaud, Abel Gance
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