«’A vita è ‘na strunzata» sentenziava (uno dei) Tony Pisapia in L’uomo in più.
‘A vita è ‘na strunzata, è uno scherzo beffardo, come quelli che Maria Schisa (Teresa Saponangelo, sempre più brava), la solare, irriducibile madre di Fabietto, adolescente napoletano studioso e schivo, imbastisce ai danni dei vicini prepotenti o del marito infedele (Toni Servillo senza maschera); è un errore salvifico, come quella mano di Maradona ai Mondiali ‘86; è un gioco balordo del destino, come l’incidente che lascia Fabietto ancora più solo di quanto già non si fosse prefissato di essere.
Sorrentino torna alle origini, perché «le radici sono importanti, torna alla sua Napoli, ai suoi imprinting cinefili e a un’autobiografia appena velata, confeziona un The Young Paolo accorato e limpido, in cui l’equilibrio formale è una questione d’amore - per il cinema e per la sua famiglia. «Non ti disunire» intima al giovane Fabio/Paolo il mentore Antonio Capuano in una scena nata cult, e allora Sorrentino si riunisce: alla sua città, alle conseguenze di un amore filiale (e di fratello, e di nipote, nel legame sensuale e struggente con la zia “matta”, una dolente Luisa Ranieri), all’olimpo registico che ha segnato il suo sguardo di futuro autore.
E quindi Fellini, presenza ingombrante e non mostrabile, col suo circo di provinanti; il succitato Capuano, che guarda a Roma col giusto sospetto; la malinconia di Troisi, dichiarato nume tutelare; e Sergio Leone, il cui C’era una volta in America (omaggiato fin dall’incipit, con una corsa di vetture d’epoca incongrue nella Napoli degli anni 80) diventa una VHS impolverata, simbolo intoccabile di una famiglia che non potrà più guardarlo riunita.
Il cinema è orizzonte generico e condiviso di fuga, di salvezza, di sogno, non solo per il giovane Fabio, ma anche per suo fratello, che cerca di farsi scritturare da Fellini, e per l’arrogante vicina di casa, indotta con l’inganno a credere di esser stata scelta da Zeffirelli. Fabio li guarda, scruta la sua famiglia e Napoli col walkman nelle orecchie, e nel suo eloquio colto, timido e saccente ci sono i germi adolescenziali di tutti i Tony Pisapia/Tony Pagoda/Jep Gambardella a venire; il film è un ritorno a casa e una caccia al tesoro, un inventario di ossessioni e di infatuazioni che sfilano davanti allo spettatore come nel romanzo di formazione di un autore, prima che di un giovane uomo.
E allora c’è, in questo film, la vera spiegazione del perché Sorrentino ringraziò Maradona; ci sono «l’odore delle case dei vecchi» e la solitudine degli uomini in più; c’è la città (Napoli più eterna di Roma) coi suoi fantasmi (letterali, come l’apparizione del monaciello); c’è un set quasi onirico dove nelle gallerie di Napoli ondeggia un uomo appeso come il Titta di Le conseguenze dell’amore; c’è il femminile statuario e felliniano, quasi mitologico; c’è la casa che è «dove voglio stare, prendimi e portami indietro» come si canta in This Must Be the Place.
E poi c’è un’immagine mancante, un vuoto, un rovello di non-visibile che, da solo, pare innescare e giustificare tutto il cinema di Sorrentino: «Non me li hanno fatti vedere» grida a pieni polmoni Fabio, dopo il lutto, e dalla febbre di quello sguardo negato nascerà il regista.
Il film
È stata la mano di Dio
Drammatico - Italia 2021 - durata 130’
Regia: Paolo Sorrentino
Con Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri
Al cinema: Uscita in Italia il 24/11/2021
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
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