Bisognerebbe inquadrare Michel Gondry come uno dei grandi cineasti del tormento, regista di un’epoca-cerniera in cui gli autori della sua età si sono trovati tesi e sospesi tra le possibilità del cinema moderno con cui sono stati educati (fino a Mood Indigo - La schiuma dei giorni, da Boris Vian, Gondry è stato l’unico reale riscrittore di Alain Resnais) e un immaginario in cui ogni scelta identitaria, ogni ipotesi di cinema e di sé, era già preventivamente assimilata, data, disponibile come merce nel supermercato integrato e mai originale del contemporaneo. Charlie Kaufman (suo sceneggiatore per Human Nature, ovvero Mio zio d’America, e Se mi lasci ti cancello, ovvero Je t’aime je t’aime) s’è ostinato a raccontare un soggetto frantumato, in un modernismo caricaturale, parossistico, lancinante.
Wes Anderson s’è fatto radicale, lasciando che i suoi io ipertrofici, narcisi e inadeguati abitassero scenari freddamente superficiali, risuonassero in miniature fasulle, perfette e impossibili. E si potrebbe proseguire con tre incredibili cineasti del delitto perfetto dell’immagine nei confronti dell’io, e dunque del soggetto, per dire del fallimento dell’autore come nesso tra il cinema e la realtà: registi come Tarantino (con il suo rifondare generi, epoche, cronache e Storia in universi completamente autonomi, tragicamente irrelati), P.T. Anderson (con le sue immagini impenetrabili, insondabili, incapaci di dire altro da sé) e Nolan (con film über-cinematografici in cui regnano il mero meccanismo e la sconfitta di protagonisti chiusi nelle proprie ossessioni, come in Aronofsky). Il cinema di Gondry è probabilmente, tra queste opere dello scollamento tra immagine e mondo, quello che porta maggiormente il segno della sofferenza, dello scacco, del donchisciottismo, fatto come è di personaggi rinchiusi in se stessi, produttori di universi incompresi che non interessano praticamente a nessuno, sognatori di sogni che, quando s’impongono, s’impongono sempre e solo come sogni scollati dal vero, mentre sullo sfondo, fuori, il mondo scorre noncurante.
Il libro delle soluzioni (per citare il lapsus di copertina del n. 43/2023, anche e soprattutto delle illusioni) è un film su tutto questo, didascalicamente: un film su un regista (Pierre Niney, ovvero Gondry) che vive depresso ed euforico, bipolare, delle sue regole capricciose, dei suoi progetti analogici e non algoritmici, dei suoi desideri cangianti e umorali, supportato e sopportato da pochi, autistico e marginale, protagonista possibile solo e soltanto per sé. Una commedia depressa ed esilarante, piena di inventiva non imitabile, di una poesia delle cose che nulla c’entra coi giochini ricombinatori del postmoderno, un pensiero irrequieto e tragicomico che prova a pensarsi felice, e che scivola verso un finale in cui il cinema risolve la realtà, trovando un lieto fine che aggiusta l’amore e la carriera. Ma come in Be Kind Rewind o C’era una volta a... Hollywood quella che pare una vittoria sul reale è solo un’altra drammatica resa verso la propria sognante inutilità. La soluzione è l’illusione (per l’appunto).
Il film
Il libro delle soluzioni
Commedia - Francia 2023 - durata 102’
Titolo originale: Le livre des solutions
Regia: Michel Gondry
Con Pierre Niney, Vincent Elbaz, Francoise Lebrun, Blanche Gardin, Camille Rutherford, Frankie Wallach
Al cinema: Uscita in Italia il 01/11/2023
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Amazon Video iWonder Full Amazon channel
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