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The Divergent Series: Insurgent

Regia di Robert Schwentke vedi scheda film

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La recensione su The Divergent Series: Insurgent

di Aquilant
8 stelle

Un luogo comune reiterato fino allo spasimo da parte di alcuni critici paragona la trilogia di Suzanne Collins a quella di Veronica Roth quasi sempre a scapito di quest’ultima, senza ovviamente tener conto della sostanziale differenza tra le due opere che hanno in comune tra loro solamente una robusta dose di visionarietà distopica ma una parabola esistenziale essenzialmente diversa.

Tale presa di posizione è quindi da considerare del tutto impropria. Già in “Divergent” si notavano non pochi momenti in grado di creare una buona tensione in favore dello spettatore in virtù di una pulsione narrativa pronta a raggiungerlo sotto la pelle per poi dimorarci a lungo. Certo, non sfuggiva di tanto in tanto un certo squilibrio tra il “Barbie look” di Shailene Woodley (che sembrava defraudarla di una discreta porzione di mobilità espressiva) contrapposto al tostissimo personaggio letterario di nome Tris, laddove il paragone con l’altra eroina Jennifer Lawrence risultava talora impietoso e sicuramente a favore di quest’ultima. Fortunatamente il ritmo incalzante del film (di certo non inferiore ad “Hunger games”), la validità del suo percorso narrativo e la buona padronanza della messa in scena riuscivano a minimizzare in gran parte tale squilibrio.

Neppure il minimo accenno di squilibrio riesce invece ad emergere in “Insurgent”, secondo capitolo della serie. Qui la sorprendente maturazione della protagonista balza subito agli occhi fin dai primi fotogrammi. E poco importa se nel relativo libro appare più meditativa e più provata dai sensi di colpa, perennemente ossessionata dall’ombra del suo amico Will, rifiutandosi persino di impugnare una pistola (ma i coltelli si), perché  sullo schermo si presenta ai nostri occhi davvero come la più intrepida delle intrepide anzi divergente al 100% che sarebbe il top, con una sorprendente mobilità espressiva sicuramente assente in “Divergent”, imbracciando perfino armi d’avanguardia e menando fendenti a dritta ed a manca, pienamente assistita dal suo nuovo look d’assalto che più tosto ed ardito non si può, pronta anche ad immolarsi fino allo spasimo se necessario. Via così quei capelli lunghissimi che rendevano poco credibile il suo personaggio conferendole un’aria un po’ troppo angelica, quasi da eroina new age, comunque piuttosto da pacifica che da divergente, ed ecco qui pronta l’intrepid(issim)a guerriera in grado di accedere finalmente alla soluzione del mistero di una città avvolta nell’immaginario distopico, riducendo in gran parte il gap qualitativo ed espressivo che la separava dall’altra intrepida Katniss.

 Senza dubbio la performance della nostra eroina appare di tutto rispetto, ben assecondata da un regista tendente in ogni caso a dare il massimo rilievo all’azione. Un particolare riguardo va agli improvvisi e strepitosi frammenti di visionarietà specie verso il finale, dove la vicenda sceglie a volte di procedere per suggestioni (qualche critico ha fatto perfino riferimento al famoso ciclo farmeriano del “Mondo del fiume”). In definitiva la splendida Shailene Woodley finisce col racchiudere in sé l’intera l’essenza dell’opera, per cui sarebbe alquanto arduo arrivare ad un commento globalmente positivo  senza tener conto della sua notevole prestazione. In tal modo il personaggio Tris ed il film appaiono sullo schermo come un tutto unico, strettamente collegati fra loro e a differenza del primo capitolo ogni giudizio critico favorevole sulla performance individuale della protagonista non può non può non andare a ripercuotersi in modo positivo  sull’intero andamento della vicenda. Un cenno a parte va alla totale assenza di andamento ondivago, presente invece in parte nel pur interessante romanzo. Un film dal notevole flusso emotivo, ricco di fervore visionario, nato vivissimo insomma, non di sicuro una “cosetta per adolescenti”, ma piuttosto un robusto e salutare tuffo adrenalinico in un percorso avventuroso alla portata di  tutte le età  anche se bisogna stare attenti a parlare di capolavoro perché capolavoro forse non è.

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