Uno sguardo al Concorso Colpisce la presenza dei migliori nomi della Berlin School, come una verifica, 15 anni dopo, dello stato di salute dei suoi autori: Christian Petzold (con Afire, storia dei legami in un gruppo di persone chiuse in una casa, lockdown, mentre fuori il mondo brucia), Angela Schanelec (con Music, rilettura contemporanea del mito di Edipo, con gli abituali dislocamenti del suo cinema post-bressoniano, tra la Grecia e Londra) e Christoph Hochhäusler (come sempre legato al cinema di genere, con Till the End of the Night, storia di un agente sottocopertura e in cerca d’identità).
Dalla Germania vengono anche il biopic Ingeborg Bachmann - Journey into the Desert di Margarethe von Trotta, con Vicky Krieps nel ruolo della poetessa, e Someday We’ll Tell Each Other Everything di Emily Atef, intensa storia d’amore post caduta del Muro, dalla regista di 3 Days in Quiberon. Tra i registi di fama Philippe Garrel (Le grand chariot, con i suoi tre figli protagonisti: Louis, Esther, Lena), il maestro del doc Nicolas Philibert (con Sur l’Adamant), l’australiano imprendibile Rolf de Heer (The Survival of Kindness), l’animatore giapponese Makoto Shinkai (quello di Your Name., con Suzume), il folle canadese Matt Johnson (quello di The Dirties e Operazione Avalanche, con la storia d’impresa BlackBerry). Le star Usa (piccole: Jesse Eisenberg e Adrien Brody) le porta Manodrome di John Trengrove, parabola sulla mascolinità.
Rappresenta l’Italia Disco Boy, esordio di Giacomo Abbruzzese, intreccio di un legame oltre ogni confine (vita e morte compresa) tra due uomini. Ma le sorprese, come sempre, potrebbero arrivare dai film qui non menzionati.
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