1 stagioni - 7 episodi vedi scheda serie
Questa versione di “Asura no Gotoku” messa in scena da Hirokazu Kore-eda lascia tempo al tempo per ritrovar sé stesso: il vissuto e il vivendo dello spettatore. Cortocircuiti, illuminazioni e piccoli miracoli non sempre crudeli: un’autentica meraviglia.
I 7 episodi messi in scena per Netflix, e come sempre anche montati, da Hirokazu Kore-eda lungo i quali si dipana “Asura no Gotoku” (2025), cioè “Come Asura”, gli spiriti (dal sanscrito vedico) benefici/benevoli e/o malefici/malevoli dell’esistere, da lui anche riadattati (ma, per dire, “Natale in Casa Cupiello” quello è: che vuoi “migliorare”, a prescindere da una non proibita attualizzazione che comunque qui non c’è? Per dire: le regìe televisive delle regìe teatrali di Toni Servillo di “Sabato, Domenica e Lunedì” e “le Voci di Dentro” appartengono alla produzione migliore di Paolo Sorrentino) seguendo gli altrettanti copioni originali (sceneggiature che nell’immediato furono pubblicate a guisa di apocrifa novellizzazione postuma e poi divennero la base per un primo remake in forma di film dall’identico titolo girato a inizio anni zero da Yoshimitsu Morita) che al tempo Kuniko Mukoda (1929-1981) stese per l’omonima serie in due parti contemporanea a sé stessa diretta da Ben Wada del 1979-‘80, l’esatto periodo in cui è ambientata anche quella/questa odierna, quindi “stori(ografi)ca”, anch’essa bipartita (3 ep., “1979: Talloni di Cuoio” + 4 ep., “1980: Anche il Giappone Sta Progredendo”: i titoli sono miei), ma in una tornata unica [il giro di boa è rappresentato da un funerale fondamentale chiosato da “Gubijinso” (“il Papavero”, 1907) di Natsume Soseki (1867-1916), già trasposto per il cinema da Daisuke Ito e Kenji Mizoguchi nel film dall’identico titolo del 1935: «Tutto è comicità. E alla fine rimane una domanda: vita o morte? Quella è tragedia.»], giungono nel contesto di un periodo da un certo PdV un po’ sui generis – e che per quello che se ne può intuire ad oggi è ancora in corso – per l’autore giapponese classe 1962, che dopo un’opera molto sentita qual è “Manbiki Kazoku” (“una Famiglia di Taccheggiatori”, 2018) sono infatti giunti un “film francese” (“La Vérité”, 2019), un “film sud-coreano” [“Beurokeo” (“Broker”), 2022], una prima serie sempre per i tipi di Los Gatos, scritta in collaborazione con altri adattando l’omonimo manga di Aiko Koyama e della quale ha diretto i primi due episodi, “Maiko-san Chi no Makanai-san” (2023), traducibile in “Cucinando per le Geishe”, e un film da lui – per la prima volta dall’esordio di “Maboroshi no Hikari” trent’anni prima – non scritto [“Kaibutsu” (“Mostro”), 2023], ora, per interposto lavoro d’altri pre-esistente, re-interpella il sé stesso del piccolo capolavoro di quasi un decennio prima ch’è “Umimachi Diary” [vale a dire “il Diario di un Borgo Costiero”, rinominato per il mercato internazionale in “(Our) Little Sister”], ricomponendo questa variazione sul tema nei dintorni d’una maternale/paternale sorellanza potenzialmente fratellastrante.
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Una ventina d’attori principali, tutti dall’eccellente all’eccezionale:
- Rie Miyazawa: Tsunako, la primogenita (+ un figlio, la ragazza del figlio, un amante - Seiyô Uchino - e la moglie dell’amante);
- Machiko Ono (“Moe no Suzaku”, “Mogari no Mori”), forse la più brava del gruppo, se proprio si volesse fare ‘sto giochino: Makiko, la secondogenita (+ due figli, il marito - Masahiro Motoki - e l’amante del marito);
- Yû Aoi (“One Million Yen Girl”, “Birds Without Names”, “Romance Doll”), e di lei ci s’innamora facilmente: Takiko, la terzogenita (+ uno spasimante: Ryûhei Matsuda, l’indimenticato co-protagonista del “Gohatto” di Nagisa Oshima);
- Suzu Hirose (già col regista per il già nominato “Umimachi Diary” e poi per “Sandome no Satsujin”): Sakiko, l’ultimogenita (+ un figlio, un marito - Kisetsu Fujiwara - e una suocera);
- Keiko Matsuzaka (Fuji, la madre delle 4 sorelle) e il grande Jun Kunimura di “Audition”, “Vital”, “Kill Bill”, “Outrage”, “Goksung”, “Sunny” e “Pachinko”: rispettivamente la madre e il padre (+ l’amante di lui e il figlio dell’amante) delle 4 sorelle.
Fotografia di Mikiya Takimoto e musiche originali molto belle dei Fox Capture Plan (Inoue, Kawai, Kishimoto) oltre le quali spicca la “Higher” dei PlayHøüze sui titoli di testa e nei teaser & trailer.
Molto carina la scena di comunicazione attraverso la vetrata, anche se Pozzetto/Muti sono insuperabili.
- “Può essere deprimente non avere un uomo. Se diverrai vedova lo capirai.”
- “Non augurarmelo! Non abbiamo ancora estinto il mutuo!”
- “L’autobus è in ritardo.”
- “Sì, sono già passati tre minuti.”
Con le sue 6 ore, che terminano con un finale in anticlimax non consolatorio, ma testimone di una consapevolezza espressa, la versione di “Asura no Gotoku” messa in scena da Hirokazu Kore-eda lascia tempo al tempo per ritrovar sé stesso: il vissuto e il vivendo dello spettatore. Cortocircuiti, illuminazioni e piccoli miracoli non sempre crudeli: un’autentica meraviglia.
* * * * ¼ - 8.50
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