1 stagioni - 4 episodi vedi scheda serie
Tutto Hollywood è Paese.
Marie/Mary Roget/Rogers, Laura Palmer e le altre, ovvero: la Filosofia della (De)Composizione.
"Va beh, ma qui mica siamo ad Avetrana!"
"Ma dove abiti, ad Avetrana?"
"Fuga da Avetrana."
"E allora, andiamo a vedere Avetrana..."
[...]
"Beh, Avetrana pensavo peggio, non è per niente male!"
"Ma infatti lo sai che..."
"Ciao!"
"... ci stavo pensando. Ciao!"
Anche se per il pubblico italiano si tratta di una storia assimilata per osmosi se pur non ci si fosse mai soffermati ad ascoltare il rumore di fondo del chiacchericcio subliminale dilatatosi lungo tutto il palinsesto para-umano da quel finir d’estate di fine “cazzo di anni zero”, per quel che mi concerne sarà che né all’epoca...
-[Avetrana, 2010, Sarah Scazzi, 15 anni; mentre esattamente tre mesi dopo tra Brembate di Sopra e Chignolo d’Isola ad alimentare l’osceno della confortante compassione di riporto ci penseranno le spoglie di Yara Gambirasio, 13 anni, e tre anni prima a Garlasco quelle di Chiara Poggi, 26 anni, e a Perugia quelle di Meredith Kercher, 21 anni (, e otto anni prima a Cogne quelle di Samuele Lorenzi, 3 anni), e vent’anni prima a Roma quelle di Simonetta Cesaroni, 20 anni, e ventisette anni prima a Roma quelle introvate di Emanuela Orlandi, 15 anni, e cinquantasette anni prima a Roma (“sulla spiaggia di Capocotta”) quelle di Wilma Montesi, 21 anni, eccetera (Liliana…) eccetera (…Balducci) eccetera: qui non è Hollywood, Cinecittà, Pinewood, Bollywood…]-
...né mai mi sono interessato ai decorsi e alle ricostruzioni - anzi scansandone il più possibile, vale a dire un bel 99,99% periodico - del fatto delittuoso e del suo eterodirettamente derivato “processo mediatico” né attraverso il mainstream della cronaca nera giornalistica dei quotidiani di sedicente informazione e dei chillàvvisti né non riparandomi dagli schizzi delle reti fognarie a cielo aperto dei rotocalchi scandalistici, dei portàpporta e dei pomeriggicinque, e postmesso che non è possibile, come infatti (non) è stato, schivare i cascami, i lacerti e le rigaglie di quello 0,01% (che quindi e purtroppo non può dirsi omeopatico, cioè insignificante) percolante ed essudante dagli scoli allora principalmente analogico-catodici ed oggi rimpolpati dalla rete digitale (sia podcastica che a-social), ma proprio il conseguente fatto di non conoscere quasi alcunché della storia, a parte il dato nudo e crudo, ovvero che per l’appunto una ragazza fu uccisa dagli appartenenti ad un nucleo famigliare di parenti della madre, mi ha forse consentito d’inoltrarmi con quel misto di sicurezza - data dal saper riconoscere almeno i punti cardinali - e d’aspettativa “in purezza” nei meandri dell’irreparabile, per l’occasione (ri)messo in scena con l’appropriato sovradosaggio di rispetto verso le vittime, assumendo il PdV della Corte di Cassazione (ma riuscendo a circostanziare il tutto non didascalicamente mantenendo il ruolino di marcia dell’indicibile e dell’inesplicabile), dalla regìa di Pippo Mezzapesa (“il Paese delle Spose Infelici”, “Pinuccio Lovero - Yes I Can”, “il Bene Mio”, “Ti Mangio il Cuore” e gli ultimi 2 ep. della 2ª stag. di “la Legge di Lidia Poët”) che sceneggia con Antonella W. Gaeta (con la quale ha anche scritto, adattando l’omonimo romanzo di Lorenzo Licalzi, il copione di “l’Ultima Settimana di Settembre” di Gianni De Blasi), Davide Serino e la collaborazione di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, gli autori del libro (non-fiction, true-crime) di partenza, “Sarah - la Ragazza di Avetrana” (Fandango, 2020), i 4 ep. da un’ora ciascuno (ognuno incentrato sul PdV di uno dei personaggi coinvolti nella vicenda: Sarah, Sabrina, Michele e Cosima) che vanno a comporre “[Avetrana -] Qui non è Hollywood”...
-[con la fotografia di Giuseppe Maio, il montaggio di Marcello Saurino, Vincenzo Soprano e Francesca Addonizio, le scenografie di Paolo Sansoni Baratella, l’arredamento di Giulia Parigi, i costumi di Sara Fanelli, la prostetica di Valentina Visintin e Alessandra Vita, le musiche di Giacomo Mazzucato aka Yakamoto Kotzuga – emblematica la sua “Turismo Nero”, quasi “onomatopeica” nel titolo, che subentra mimandolo all’immancabil(ment)e (valido), ma giustappunto posto in esergo per poi “liberarsene”, arrivo del “complesso che valorizza il territorio, impara quattro accordi e ci costruisce un repertorio e senza motivo ha un percussionista ghanese che è stato ricollocato nel suddetto complesso pugliese” – più la canzone sui titoli di coda, "la Banalità del Male", di Marracash, la produzione di Matteo Rovere per Groenlandia e la distribuzione di Disney+, sindaco vot’Antonio Iazzi e giudice non vot’Antonio Attanasio permettendo (la malarazza dei locandinisti/posteristi è seconda per repellenza solo a quella dei titolisti dei giornali), grazie ai quali però il titolo, da censurato, è migliorato]-
...senza eccessive drammatizzazioni stancamente semplificatorie (assodato l’inconfutabile elemento certo che alla denunciatrice del testimone chiave, amica e correligionaria della madre della ragazza uccisa, rendendo testimonianza di fronte al maresciallo vengono fatte pronunciare le parole in un letteralmente incredibile “burocratese stampato” così come l’appuntato le ha trascritte al tempo interpretandole in carabinierese in un modo che proprio non si può sentire, eh) o furbescamente ambigue, riuscendo a non soccombere al facile veicolo del (nel male e nel bene) paternalismo (ma a quello del maternalismo un po’ sì, nel bene e nel male) degenere del genere e scardinando tanto il patetismo più bieco e artificioso e meno sim/em-patico (Sarah Scazzi è descritta in tutti i suoi 15 anni, con tutti i pregi e i difetti - non ricalcati né santificati gli uni e non edulcorati né smussati gli altri - che ancora non sono, né gli uni né gli altri, tali) quanto la retorica meno eloquente e più evidente: da una parte vi sono sì alcuni elementi fantasy-presagistici à la “Bringing Out the Dead” francamente nel contestualizzato caso in questione posticci e fuori luogo, ma comunque sorvolabili (schifabili, ma tuttavia schivabili), e occorre evidenziare che quel movimento di macchina su steadycam dollyzzata a scendere andando incontro “in processione” sulle note (di Brian May) del vero (dopo i sosia/cosplay delle apule sagre di paese) Freddie Mercury verso il volto della ragazza vale quanto una dozzina di cahiers-rivetteschi carrelli in avanti di “Kapò”, ma dall’altra bisogna consegnare un grazie particolare alla sedicente sensitiva delle salmastre paludi retrodunali che per via indiretta ha fatto dare un ennesimo taglio ai tamburelli-tarantelli dopolavorstici.
Who wants to live forever?
There's no chance for us
It's all decided for us
Il cast(ing) fa il “resto”, e forse compie il miracolo: una Vanessa Scalera (“Palazzina LaF”) da incubo (e ben poco da invidiare alla Kate “Ma” Barker di Shelley Winters nel “Bloody Mama” di Roger Corman e alla Gladys “Ma” Grissom di Irene Dailey nel “the Grissom Gang” di Robert Aldrich), una Giulia Perulli che se la cava egregiamente nel reggere un grande peso (non solo metaforico e non prostetico) su di sé (il suo è forse il ruolo più complicato, e lei è anche la meno esperta del gruppo dal PDV recitativo, avendo all’attivo solo una piccola partecipazione a “il Sesso degli Angeli” dopo essere stata assistente alla regìa per Cristina Comencini e Maria Sole Tognazzi), un Paolo De Vita (“la Meglio Gioventù”) che riesce a non scadere, mai, manco per un frame, una frazione di secondo o un mezzo sguardo, nel rischio della macchietta, una Federica Pala (“America Latina”) semplicemente eccellente, e non solo per l’età che ha, una Imma Villa (“il Resto di Niente”) che non si spegne nel sottotono, ma lo governa con precisione, e poi Antonio Gerardi (“Diaz - Don’t Clean Up This Blood”, “i Predatori”, “l’Ultimo Paradiso”), Geno Diana (“il Grande Spirito”) e Mimmo Mancini in tre caratterizzazioni spettacolari e, a contorno, Leonardo Bianconi, Roberta Infantino e Anna Ferzetti (“Curon”, “Volevo Fare la Rockstar”, “le Fate Ignoranti - la Serie”, “un’Estate Fa”, “Antonia”), quest’ultima nel ruolo più programmatico e posticciamente metatestuale di grimaldello, ponte, alias e “osservatore osservato”.
You'll always be there when I call, when I call
You'll always be there most of all, all, all, all
This is not Hollywood, like I understood
Runaway, runaway, is there anybody there?
Get away, get away, get away-ay-ay-ay-ay-ay-ay
It's not so glamorous at all, all, all, all
Insomma il cinema di Ulrich Seidl, Todd Solondz, Bruno Dumont e Ciprì e Maresco gioca in un altro campionato, ma non un altro sport, e lo spettatore è avvertito: o soffre di un alto tasso di apatica indifferenza, o per “sopportare” la narrazione di questo spaccato umano (di consimili, non di plutocratoligarchi) deve assumere le sembianze di un entomologo più che di un etologo e, meglio ancora, di un virologo, e al contempo deve fruire della possibilità di avere un’amorevole e solida famiglia intorno od essere in pace con sé stesso come manco l’Hyrayama wendersiano perchè altrimenti c’è da ritirarsi in campagna, come ha fatto lui.
Quando il sole tornerà…
Trame sporche, questa creatura
Che mi confonde, cambia natura
Notte buia, ti ho fatto musa
Si consuma tra quattro mura
Sotto la superficie che ci divide vivo due vite in una
Sai che il male è banale, ma è comprenderlo che è complesso
Se ci affascina tutti, è perché tutti lo abbiamo dentro
Ogni caso irrisolto, poi, è soltanto specchio del nostro
Sotto ogni letto c'è un mostro, devi andarci d'accordo
...e la notte non verrà mai più.
In un altroquando, la ragazza con l'h che aveva appeso in camera, accanto a quelli di Avril Lavigne, il poster di “Mechanical Animals” [del 1998: in Salento le cose c’impiegano un po’ ad arrivare, ma poi arrivano, e non solo la Xylella fastidiosa spp. pauca, veicolata dalle sputacchine, l’emittero (rincote) omottero cicadomorfo cercopide afroforide Philaenus spumarius ed altri suoi consimili] dei Marilyn Manson, ora donna, forse starebbe cantando, riconoscendovisi:
Crede negli scontri degli astri, nei cattivi maestri
Nelle vite, nelle morti dei santi
Negli occhi dei cervi fermi davanti agli abbaglianti
Crede nell'abbaiare dei cani e che non decidi tu i tuoi desideri
Crede nel risveglio improvviso dei giardini e dei vulcani.
Poi corre tra le cose che non sa decifrare
Indecisa se aprire o chiudere il cuore
Crede in quegli occhi che non la fanno dormire
E che ora che è sola, si dovrà arrangiare
Crede in chi grida nei dischi
Che c'è vita al di là degli schermi.
Ma Sara troverà un po' di buona sorte
E la fame, la sete di vita, le chitarre distorte
Poi ritroverà l'amore e gli altri disastri
Qualcuno che grida: "Arrivano i nostri!"
Crede nei superpoteri
E che non siamo né di oggi né di ieri
Ma di un'era immensa
E guarda il cielo quando si sente persa.
Poi si ferma tra le cose che non sa decifrare
Telecamere che riprendono scene d'amore
Crede negli aerei pronti per partire
E che ora che è grande, si dovrà arrangiare
Crede in chi viene dal niente
Con i pronostici contro e un fuoco dentro.
Ma Sara troverà un po' di buona sorte
E la fame, la sete di vita, le chitarre distorte
Poi ritroverà l'amore e gli altri disastri
Qualcuno che grida: "Arrivano i nostri!"
Poi corre tra le cose che non sa decifrare
Indecisa se aprire o chiudere il cuore
Crede in quegli occhi che non la fanno dormire
E che ora che è sola e grande, si dovrà arrangiare.
Ma Sara sfonderà tutte le porte
E la fame, la sete di vita, un vecchio pianoforte
E poi sentirà ancora un fuoco dentro
Un fuoco che brucia, ma illumina tutto.
Che brucia
Ma illumina tutto
Illumina tutto.
(La più bieca speranza, insomma, perpetrata persino dinnanzi all’irrimediabile, ma con la consapevolezza di una consolazione che contempla la propria impraticabilità. Ecco: da "QUI NN É HOLLIWOOD" a "Qui non è Hollywood".)
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