1 stagioni - 7 episodi vedi scheda serie
Caprera! Caprera!! Caprera!!!, ma fatto "bene", m'ha fatto male. (Occhio all'iris shot, però, che cazzo! Non che il "trucchetto" possa salvare tutto, ma il 6 politikoh l'assicura, e con le performance di Blanchett, Kline e George pure qualcosa in più, suvvia.)
Il pesce puzza sempre dalla testa, e qui un molto, troppo iñárrituato Alfonso Cuarón fa – con l’aiuto di un cast da altissimi e bassini e del suo amico e collaboratore di (quasi) sempre Emmanuel Lubezki (Sleepy Hollow, Alì, the New World, Burn After Reading, the Tree of Life, To the Wonder, Birdman, Knight of Cups, the Revenant, Song to Song, Amsterdam: suoi ad esempio i “malickiani” momenti incorniciati dall’iris… O • · • O …shot, e “perciò” da considerare “ovviamente” come finti, cinematograficamente parlando, tratti da “the Perfect Stranger”, il “libro nel film” (ah!, i danni - anche - che fanno Il Mio Libro, Amazon Direct/Self Publishing o FilmTV.it!), ovvero il 4° PdV della storia, che si potrebbe riassumere con la possibile frase di lancio di “Secondo Lesley Manville anche Cate Blanchett e Leila George fanno le puzzette!”: la ragazza di Nicholas è “porcinamente odiosa”, lui prima è un impacciato eiaculatore precoce che va in panico per il “Controllore! Biglietti!” e che ha saltato la lezione di cunni/ani-lingus perché c’aveva judo - per lui il rimming è quando fai canestro da tre punti - e poi dopo 5 minuti di svezzanti spatolamenti vaginali diventa l’epigono di Richard Avedon ed Helmut Newton) che con l’aiuto di Bruno Delbonnel (le Fabuleux Destin d'Amélie Poulain, un Long Dimanche de Fiançailles, Faust, Inside Llewyn Davis, Francofonia, the Ballad of Buster Scruggs, the Tragedy of Macbeth) dietro alla MdP dipinge con la luce le varie linee narrative raccontate dalla due voci narranti para-(ma molto "para")-rashomoniche le quali più o meno si dividono in prima (Stephen “a” Stephen), seconda (Varma “a” Blanchett) e terza (Varma “di” Robert e Stephen “di” Nancy e Jonathan) persona singolare – per Apple tutto da solo (affiancando Adam Gough al montaggio, mentre le musiche sono di Finneas O'Connell) ricavando la sceneggiatura dei sette episodi dall’omonimo romanzo (che non ho letto e non ho idea di come sia strutturato e soprattuto di come sia scritto, anche se posso immaginare che Indira Varma ne legga testualmente ed integralmente dei brani) del 2015 di Renée Knight, e se stessimo parlando del regista di “Sólo con Tu Pareja”, “A Little Princess”, “Great Expectations”, “Harry Potter and the Prisoner of Azkaban” e “Believe” potrei capire il tutto e considerarlo come il suo miglior lavoro, ma “purtroppo” nella sua biografia ci sono pure “Children of Men”, “Gravity” e “Roma”, e quindi la delusione è più cocente. Però…
“È così che fanno gli scrittori.” (Incorniciano le menzogne prima con un iris in e poi con un iris out.)
…però il grimaldello, la chiave, l’algoritmo e il (de)cifrario per decrittare e comprendere il film senza frignare d’esser stati gabbati o, peggio, di averlo sempre saputo ciò che “nascondeva”… col senno di poi veicolato dalla “rivelazione… vera per forza” del pre-finale, ovvero l’espediente dell’iris shot, continuamente delimitante il quadro in entrata e in uscita di scena in quel di Venezia, Pisa e Forte dei Marmi ad inizio di Anni Zero, tra le ultime scorte di rullini in pellicola e i primi vagiti sonanti e fruscianti dell’euro, è spiattellato in faccia sin da subito allo “spettatore competente” e, sempre reiterato col procedere della narrazione, giunti all’apice del versiliese climax ascendente posto poc’oltre il giro di boa di mini-serie, al termine del 4° ep., questo dispositivo sintattico extratestuale propalante il PdV di un narratore inaffidabile perché bugiardo (il Buon Soldato di Ford Madox Ford), qui oltre che vendicativo almeno in parte (ma non per forza perché le migliori bugìe contengono elementi di verità) sincero (“il sole splendeva come se nulla di terribile fosse accaduto”), diventa una del tutto ineludibile lettera rubata sfolgorante al calor bianco posta in bella evidenza che va a sostituire notori paraocchi e proverbiali fette di prosciutto: dopo tanto Éros, moralmente credibilissimo, ecco il Thánatos, moralmente ed eticamente del tutto incredibile nel senso letterale del termine: a cosa sto assistendo, che cosa mi si sta raccontando? Da “Non può essere!” a “Non potrebbe essere che”… Poi per l’appunto arrivano gli ultimi “famigerato-fatidici” 40 minuti del 7° e conclusivo “capitolo” contenenti, nell’ordine:
- la versione (questo incrociarsi di resoconti e testimonianze lo si potrebbe definire quale, mutuando il termine dal lessico scientifico dell’etologia, una introgressione: una complessità “feconda” che produce… storie, una verità talmente vera che ne basta per farne… due) di Catherine – perché (no?), ovviamente, anche lei mente – a Stephen (un soft twist), contenente anche la spiegazione della ferita a croce sul braccio di Jonathan;
- l’epifanica (tipo: “Quando sentii quel trillo il mio cuore si fermò: non avevo mai ricevuto una notifica prima!”) e subitanea redenzione di Stephen al capezzale di Nicholas che chiama nel dormiveglia “Mamma!”;
- il riassuntone che, fuori campo, lo stesso Stephen fa a Robert in 9"80 netti che manco Marcel Jacobs a Tokyo duemila e venti più uno;
- sempre Stephen che vede - specchiato in una galeotta portafinestra a vetri - Nicholas nella foto à la suddetta (e/ma no, non ve n’è traccia alcuna negli episodi precedenti, né in foto né “dal vivo”) “the Purloined Letter” (e, “giustamente”, il barocco in sottofondo: il controtenore Andreas Scholl nell’andante “Cum Dederit Dilectis Suis”, il 4° passaggio del Salmo 126, “Nisi Dominus”, ovvero l’RV - Peter Ryom Verzeichnis der Werke - 608 di Antonio Vivaldi, accompagnato dall’Australian Brandenburg Orchestra diretta da Paul Dyer: beh, tra l’onnipervasività, Cristo Apuano!, di Umberto Tozzi, controbilanciata dalla “Maremma Amara” - e pure dalla “Parlami d’Amore Mariù” - dell’orchestrina folk, se la batte con la mexico-versiliese Tess Bu Cuarón, dai!);
- e lo stratosferico “Stacce!” di Catherine a Robert (che, coerentemente col personaggio, abbozza e se l’accolla): “So che dovrei perdonarti, ma la verità è che non ci riesco, perché per te è stata accettabile l’idea che io fossi stata violata da qualcuno, molto più del pensiero che qualcuno mi avesse dato piacere: tu sembri quasi sollevato che io fossi stata violentata, e io non so come perdonare questo.”
Insomma, il difetto peggiore di “Disclaimer” è il fatto che troppo spesso la summa dello stile e della forma e della sostanza e del contenuto del lavoro di Alfonso (e di Renée?) risulta indistinguibile da quella amatoriale (e che forse voleva/doveva continuare ad essere un tentativo privato di elaborazione del lutto, forse no) di Nancy.
Interpreti e personaggi:
Cate Blanchett ("the Aviator", "I'm Not There", "Blue Jasmine", "Carol", "TÁR") → Catherine Ravenscroft a 45/50 anni;
Leila George → Catherine Ravenscroft a 25/30 anni;
Sacha Baron Coen → Robert Ravenscroft;
Kodi Smit-McPhee ("the Power of the Dog") → Nicholas Ravenscroft a 25 anni;
Kevin Kline ("Sophie's Choice", "the Big Chill", "Silverado", "A Fish Called Wanda", "Grand Canyon", "the Ice Storm", "A Prairie Home Companion", "Ricki and the Flash") → Stephen Brigstocke a 55 e a 75 anni;
Lesley Manville → Nancy Brigstocke a 50 e a 60 anni, narratrice inaffidabile;
Louis Partridge → Jonathan Brigstocke;
Indira Varma (narratrice onnisciente);
Liv Hill → Sasha, la ragazza di Jonathan;
Art Malik → Justin, ex collega ed ora editore di Stephen;
Gemma Jones → Helen, la madre di Catherine;
Christiane Amanpour → sé stessa in un cameo.
“È stato piacevole, prevedibile e patetico… […] Boom!”
* * * ¼ - 6.50
P.S. Chissà perché nella versione doppiata in italiano (che sconsiglio a prescindere, anche se per il resto è passabile) l’ufficiale giudiziario del Tribunale di Lucca parla con la voce di un Martufello che provasse a fare, male, l’accento toscano, e in quella originale invece la dizione recitativa dell’attore (Daniele Nicoli, già “operatore” in “Boris 3”) non ha nulla da invidiare a, tipo, Sean Penn (ex marito del sublime incontro leilageorgesco tra i cromosomi di Vincent D’Onofrio e Greta Scacchi), pur continuando ad esprimere - e giustamente - l’inflessione dialettale, ma senza per l’appunto renderla bagaglin-zelig-cartoonesca? ("Li mortacci vostra!", detto con la voce di Max Tortora che imita Adriano Celentano in "Rugantino".)
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