1 stagioni - 7 episodi vedi scheda serie
C’è una cosa curiosa che succede guardando Disclaimer, la nuova serie di Alfonso Cuarón per Apple Tv, sul ricatto che un uomo (Kevin Kline) fa ai danni di una donna di successo (Cate Blanchett). Succede che per ben 4 episodi su 7 viene incoraggiata e mostrata una direzione narrativa basata su premesse più che evidentemente errate e fuorvianti, una direzione capovolta finalmente negli episodi 5 e 6, dopo che lo spettatore si era già ben accorto che niente potesse quadrare e che quindi tutto fosse da “rivedere”. Per non addentrarsi in spoiler, basti dire che non esiste alcuna chance che lo spettatore possa “credere”, e nonostante ciò Cuarón ne è convinto. Tanto convinto da basare una porzione più che abbondante della sua ultima fatica televisiva a questa illusione, già fallace, già evidentemente discutibile, già assurda, eppure data per “credibile”. E quindi tediosa, sfiancante, lunghissima. Lo switch degli episodi 5 e 6 arriva prevedibile, e porta con sé un commento a margine sullo statuto etico dello spettatore: chi ha creduto è nella malafede, associabile a personaggi totalmente negativi e tossici, spettatore che deve farsi fare una bella lavata di capo. Disclaimer si rivela così moralista nel senso più giudicante e parziale che possa esserci, un insieme di immagini che non dispiega le carte come in un thriller ma allunga un dito che indica, inesorabile e arrogante, la percezione dello spettatore. Sindrome dell’accanimento e atteggiamento punitivo: una riconferma di tendenze stilistiche, che il regista messicano regala con la storia di un ricatto in terra inglese, con condimento di grandi interpretazioni ma con regia e montaggio ai minimi (televisivi) sindacali, con assurdi salti di palo in frasca e un impiego delle voci fuoricampo oltre il limite del programmatico. Cuarón non si limita a raccontare una storia assurda, tenta bensì un teorema e ne sbaglia le conclusioni, adottando ridicole scorciatoie in fase dimostrativa e argomentativa. Disclaimer non è neanche una groviera di buchi di trama, è piuttosto un’intera voragine nel buon gusto, erotica come una patata lessa nei momenti più hot – nonostante le presenze sceniche roventi di Louis Partridge e Leila George – e grigia come il cielo di Londra, laccata nelle apparenze ma anche pericolosamente sciatta, con un missaggio audio che si spera non sia quello della versione presentata a Venezia 81. I thriller andrebbero lasciati a chi crede gli spettatori esseri senzienti e poli dialettici nella tensione, e non meri occhi meccanici, target, o che dir “tecnico” si voglia.
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