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L'arte della gioia

1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

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La recensione su L'arte della gioia

di orsotenerone
9 stelle

Modesta, la libertà che osa vivere

L’arte della gioia è una serie TV italiana andata in onda su Sky e Now, ancora disponibile in streaming. E se spesso le produzioni italiane di fiction faticano a lasciare il segno, qui siamo di fronte a un'opera che rompe gli schemi, alzando l’asticella della qualità narrativa e artistica.

 

Tratta dal potente romanzo di Goliarda Sapienza, la serie, composta da sei episodi tutti di altissimo livello, racconta la vita di Modesta – interpretata da una straordinaria Tecla Insolia – una ragazza nata all’inizio del Novecento, in un mondo che non lascia spazio alla libertà femminile, allo studio, all’autonomia. Ma L’arte della gioia non è solo un affresco storico: è una storia ambientata ieri, che parla con forza bruciante all’oggi.

 

C’è una luce fioca e ostinata che attraversa L’arte della gioia, come un filo sottile che cuce le ferite del tempo. È una storia ambientata in un passato remoto, eppure vibra con voce limpida nel presente. Non è solo il racconto di una donna, ma la memoria viva di ogni donna che abbia mai desiderato – e osato – essere libera.

Modesta nasce dove non si sceglie. In un tempo in cui nascere femmina significava dover scomparire: nel silenzio, nella clausura, nell’obbedienza.

 

Modesta è una figura di rottura, di resistenza. Insegue con ostinazione qualcosa che le è stato negato dalla nascita: la libertà di scegliere, di conoscere, di godere, di vivere. È una donna che si ribella a un destino scritto da altri.

Ed è qui che la serie fa emergere con grande lucidità un altro tema attualissimo: l’abuso. Non solo quello fisico, evidente, ma anche quello sottile, velenoso, verbale ed emotivo.

 

A volte è un sussurro velenoso, una parola che toglie valore, uno sguardo che giudica, un affetto che condiziona

L’amore, quando diventa possesso, controllo, condizionamento, è una forma di violenza. E Modesta lo sperimenta più volte: nella famiglia, nella religione, nella relazione con uomini e donne che, sotto una maschera di tenerezza, nascondono egoismo e dominio. Solo due personaggi, Carmine e Beatrice, sembrano davvero vedere Modesta per ciò che è, senza volerla piegare.

Eppure, Modesta non si arrende. Lotta, mente, studia, ama, sbaglia, si rialza. È spietata e tenera, crudele e generosa. Umana. La sua gioia non è un privilegio, è una missione. Una rivoluzione intima e carnale.

 

E in quella missione, il passato si fa specchio del presente. Perché quella prigione non è poi così lontana. Perché ancora oggi si cerca di decidere come una donna debba amare, parlare, vestirsi, vivere. E ancora oggi, la gioia femminile è spesso vissuta come un eccesso da contenere, da spiegare, da censurare.

 

La regia, la fotografia cupa e densa, il montaggio preciso: tutto contribuisce a rendere l’opera coerente, intensa, viva. Ma ciò che davvero resta è il messaggio. Un messaggio che attraversa cento anni di storia e arriva dritto al nostro presente. Perché la libertà di una donna, ieri come oggi, è ancora una conquista da difendere. E perché troppo spesso la gioia viene negata, nascosta, giudicata.

Ma arriva un momento, nel finale, in cui il tempo si ferma. Due corpi femminili si cercano, si stringono, si fondono. Non c’è più vergogna, né giudizio. Solo pelle e sguardo, solo respiro e consenso. Un abbraccio sinuoso e sensuale, complice e libero. Lì, finalmente, la gioia prende forma. Non come festa rumorosa, ma come sussurro profondo. La gioia di esistere, di sentirsi vive, di non chiedere più il permesso.

 

L’arte della gioia è una poesia dura, una carezza che graffia. Un’opera necessaria. Perché racconta ieri, ma parla – potentemente – di oggi. E forse, sussurra qualcosa anche al domani.

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