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Un uomo vero

1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie

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La recensione su Un uomo vero

di mck
8 stelle

“A lui piacciono le ragazze che non hanno peli”, ma questa è un’altra storia, ossia il romanzo di Tom Wolfe del 1998, mentre questa è la serie – “post” #MeToo e Black Lives Matter – che ne ha tratto un quarto di secolo dopo David E. Kelly: “Quando morirete, la gente ci farà caso?”

 

A Man in Full”, vale a dire un Uomo in Pieno, se se ne considera l’intera storia sino ad oggi, ma forse, ora come adesso, non certo un uomo nel pieno, perché, obiettivamente, se non financo oggettivamente, Charlie Croker (omonimo del protagonista del "the Italian Job" di Peter Collinson del 1969 interpretato da Michael Caine) non fa che, metaforicamente, ma non troppo, prenderlo nel culo, pardon, prendere schiaffoni e mazzate che gli piovono addosso da destra e da manca, da sovra e da sotto: certo, lui è pur sempre Charlie Croker from Atlanta, Georgia, e quindi possono pure pignorargli i conti bancari, i beni mobili e immobili, mettergli le ganasce al jet privato, fottergli l’ex moglie, bannarlo da Twitter, e lui cadrà sempre in piedi, anche col cyber-ginocchio ballerino da ex stella del football che si ritrova (attenzione alla scena finale: se la si può anche aspettare, ma è geniale lo stesso, perché funziona, ovvero fa ridere, inaspettatamente o meno, e con una certa compassione, magari non empatica, ma pur sempre umana nel senso “migliore” del termine), però non toccategli il cazzo in cemento armato, acciaio e vetro che s’è costruito nella City, una sorta di Trump Tower, perché allora i cazzi saranno amari, e saranno i vostri.

«Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle, di pregare per me il Signore Dio nostro.
Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.»

Per quanto ai tempi abbia gradito l’epopea di “the Practice”, ho assistito alla miniserie “A Man in Full”, da lui interamente scritta e dipanantesi in 6 ep. da 40’ l’uno diretti asimmetricamente per una metà da Regina King (“SouthLand”, “WatchMen”) e per l’altra da Thomas Schlamme (“the West Wing”, “Studio 60 on the SunSet Strip”), nonostante David E. Kelly (Chicago Hope, Ally McBeal, Boston Public, Boston Legal, Harry’s Law, Goliath, Big Little Lies, Mr. Mercedes, the Undoing, Big Sky, Big Shot, Nine Perfect Strangers, the Lincoln Lawyer, Anatomy of a Scandal, the Calling, Love & Death, Presumed Innocent: quindi alti, medi, bassi e Matilda De Angelis in full frontal), un uomo ABC, NBC, CBS e Fox per eccellenza che solo nell’ultimo decennio scarso ha allargato gli orizzonti d’oltre RAI/MediaSet lavorando anche per HBO, Netflix, Amazon, Apple, Hulu, Peacock, Disney e Audience: il punto è che David E. Kelly è davvero, realmente, in pieno un uomo per tutte le stagioni, e, quando vuole, sa cosa e come raccontare una storia, e qui adatta, un quarto di secolo dopo la sua uscita, quindi “post” #MeToo e Black Lives Matter, l’omonimo romanzo che Tom Wolfe (ch’era già stato trasposto un bel po’ bene e non mica male da Philip Kaufman con “the Right Stuff” e Brian De Palma con “the BonFire of the Vanities”, e che avrà pure scritto il superfluo “the Kingdom of Speech”, ma con I Am Charlotte Simmons ha raggiunto l’immortalità) ha licenziato sul finire dello scorso secolo/millennio e sulle prime ho pensato che fosse un po’ come se Riccardo Milani mettesse in scena il B. di Ceccarelli o l’M. di Scurati, e invece, ecco, funziona, ad esempio rivaleggiando anzichennò col “Boss” di Farhad Safinia, senza sfigurare.

 

 

Gran parte del merito, poi, è dell’intero cast (anche quello di contorno, raccolto dalla sempre encomiabile Avy Kaufman), a cominciare da Jeff Daniels, che, forse giocando un po’ troppo col cliché del tic all’occhio, qui raggiunge l’acme del climax col monologo pre-finale, all’esatt’opposto speculare, insomma, di quel che accadeva in “the NewsRoom” di Aaron Sorkin, dove metteva da subito le cose bene in chiaro già sin dall’ormai proverbiale prologo, per proseguire poi con la sempre brava Diane Lane (l’ex moglie di Charlie), Aml Ameen (l’avvocato fiscalista di Charlie buttatosi nel penale), il calibratamente sopra le righe Tom Pelphrey (il gran cazzone, e in un certo senso questo è uno spoiler), l’ottimo William Jackson Harper (il sindaco nero di Atlanta in corsa per la rielezione), Jon Michael Hill (il nero detenuto per aver tirato un pugno a un poliziotto bianco, in Georgia), l’immenso (“Compliance”, “Midnight Special”, “the Night Of”, “the Outsider”, “Monsterland”, “the Queen’s Gambit”, “White Noise”, “Drive-Away Dolls”) Bill Camp (la nemesi di Charlie Crocker: “Abbiamo il tuo referto medico: dice che sei una fichetta!”), la sorprendente Lucy Liu (la presunta vittima di stupro), Josh Pais (molto bravo: il suo forse è il ruolo più sacrificato), Sarah Jones (la nuova moglie di Charlie), Chanté Adams (la moglie del detenuto, nonché segretaria di Charlie), Jerrika Hinton (la moglie dell’avvocato di Charlie), Eline Powell (la malafemmina & Lady Macbeth del gran cazzone), Anthony Heald (gran caratterista #1: il giudice), Christian Clemenson (gran caratterista #2: il tuttofare di Charlie) e il giovane, ma già interessante, Evan Roe (il figlio di Charlie).

Musiche di Craig DeLeon e co-produzione esecutiva (che vuol dire tutto e niente: diciamo che in questo caso la si può intendere come “far rispettare l’eredità paterna”: missione compiuta) dei due figli del romanziere, Thomas R. e Alexandra Wolfe.

Inizio Intermezzo.

- Cesare “Crac” Geronzi: “All’inizio del 1993, il Credito Italiano aveva inopinatamente chiesto il rientro alle aziende del gruppo Berlusconi. In quei mesi l’economia era in recessione. Il governo Amato aveva appena varato la sua famosa stangata. La Fininvest possedeva la Standa. In teoria, non doveva mancarle il contante. Eppure, la Standa faticava a pagare i fornitori perché la liquidità dei grandi magazzini, gestita dalla tesoreria centrale della Fininvest, serviva anche per le televisioni, che vedevano i ricavi pubblicitari fermi e i costi in salita per effetto della concorrenza Rai, e anche per il comparto edilizio, che non vendeva più come un tempo. I dietrologi vi vedevano la mano di Mediobanca [cioè di Enrico Cuccia; NdR], ma anche senza occulte regie il Credito Italiano poteva generare un effetto gregge tra le altre banche creditrici. Noi invece, pensavamo che le difficoltà del gruppo Fininvest fossero temporanee e così allargammo i fidi. Non stiamo parlando di grandi cifre. Ma quelle poche decine di miliardi [di lire; NdR] consentirono alla Standa di riallacciare rapporti normali con i fornitori e all’intero gruppo Fininvest di ritrovare fiducia. Certo, l’operazione più importante fu un’altra.”
- Mucchetti: “Si riferisce, immagino, all’affare Mediolanum.”
- Geronzi: “Precisamente. Ennio Doris, l’anima di Mediolanum e della rete di promotori finanziari Programma Italia, coltivava da sempre l’ambizione di mettersi alla pari con il suo amico Silvio, che ne aveva finanziato gli esordi e deteneva il 75% dell’impresa. Doris sognava una partecipazione analoga a quella di Berlusconi nel mondo Mediolanum. Quel terribile 1993 gli offrì il destro per provarci.”

Da: “Confiteor – Potere, Banche e Affari: la Storia Mai Raccontata – Massimo Mucchetti intervista Cesare Geronzi” – Feltrinelli, 2012.

Fine Intermezzo.

A Man in Full”, però, è anche questo:

- O mi stava addosso e non sono riuscita a respingerlo oppure, dopo aver resistito, ho cambiato idea e mi sono concessa.
- Stai dicendo che non sei sicura di essere stata stuprata o che preferisci la consolazione di restare nel dubbio?
- Sto dicendo che Charlie sta costruendo una sorte di narrazione vittimistica che parla di me e che lui vuole sfruttare.
- Ora non stavo parlando di Charlie…
- Lui vuole che questa storia sia vera, ma io non mentirò per lui quando non ricordo cos’è successo.

Cioè uno dei momenti più lucidi del cinema recente sulla questione, ché di meglio ha cristallizzato la situazione solo Three Women [comunicazione di servizio: "Manca-la-scheda-su-filmtv-!"] col segmento dedicato a Lina.

E termino con un doppio omaggio a Tom Wolfe, da Matt Groening (che lo mette in compagnia con Stephen King, Gore Vidal, Jonathan Franzen e Michael Chabon) a, di sponda, Corrado Guzzanti aka Brunello Robertetti: “Sono un radical chic: per me quando una cosa è chic è chic e basta e non accetto discussioni!”

 

“A lui piacciono le ragazze che non hanno peli”, ma questa è un’altra storia, ossia il romanzo di Tom Wolfe del 1998, mentre questa è la serie – “post” #MeToo e Black Lives Matter – che ne ha tratto un quarto di secolo dopo David E. Kelly: “Quando morirete, la gente ci farà caso?”

* * * ¾ - 7.50 

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