1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie
"Che succede quando i rancheros hanno più potere dello Sceriffo?" (O viceversa.)
“No dogs in the vault, hm?”
Nel retrofuturistico (“Tales from the Loop”) e post-apocalittico (a causa di una guerra nucleare, non di una pandemia come in “Station Eleven”) universo atompunk di “Fallout”, la serie sviluppata da Graham Wagner (Portlandia) e Geneva Robertson-Dworet (Tomb Raider, Captain Marvel) per Amazon MGM (che distribuisce), Bethesda (che da metà anni zero pubblica il videogioco creato a metà anni ‘90 da Tim Cain e alcuni spin-off da metà anni dieci) e Kilter (ovvero i Jonathan Nolan - che dirige i primi tre episodi - e Lisa Joy del reboot di “WestWorld”) che – ambientata prima in un 2077 e poi in un 2296 alternativi in cui alcune branche della scienza sono più progredite rispetto a quelle che potranno essere le nostre e altre invece sono meno sviluppate – accorpa, mischia, collega e gestisce molto bene i sotto-filoni della saga videoludica, probabilmente “Un Uomo e il suo Cane” ad esempio è, come nel nostro mondo, il titolo di un paio di olio su tela dipinti da Antonio Rotta all’alba dell’Unità d’Italia e quello anglosassone di “Herr und Hund: ein Idyll” (Padrone e Cane: un Idillio), un racconto lungo pubblicato da Thomas Mann sul crepuscolo della Prima Guerra Mondiale, poi, nel successivo immediato dopo-guerra, quello relativo alla Seconda Guerra Mondiale, qualcosa tra la nostra e la loro Linea S-T ne ha causato il reciproco allontanarsi e così molto probabilmente “A Boy and His Dog” di Harlan Hellison non ha, mai, vinto il Nebula nell’anno dello sbarco sulla Luna (che chissà se da quelle parti sarà avvenuto) né la trasposizione cinematografica di L.Q. Jones s’è mai aggiudicata l’Hugo un lustro dopo e Jean-Paul Belmondo non ha, mai, interpretato Charles, il suo ultimo ruolo, in “un Homme et Son Chien”, il remake francese, oramai in pieno terzo millennio, dell’Umberto D. di De Sica, ma certamente “A Man and His Dog” è un classico western interpretato da Cooper Howard. Chi? Ecco, appunto.
Le gare, quelle belle.
Se Netflix ha risposto con “Ripley” (recuperandola da ShowTime, che ultimamente perde un po’ troppi pezzi ovunque, e ogni riferimento a “Three Women”, poi salvata e presa in carico da Starz, è voluto) alla “Mr. & Mrs. Smith” di Amazon, ora Culver City risponde con “Fallout” alla “3 Body Problem” di Los Gatos infarcendola di un’atmosfera “scanzonata” (per lo meno rispetto a “Last of Us”, che gira e funziona s’un altro registro, così come “Silo”, che molto deve alla serie videogame originale) paradossalmente mai troppo fuori luogo (essendo in questo simile a “Hello Tomorrow!”) e di una track-list (a questo punto… cronosismatica: pescando cioè dal nostro universo fifties e dintorni, con tocchi di space-age: facile così!) da urlo di autori presi per la maggior parte dall’Olimpo, ma pure pescando un poco dal dimenticatoio: Nat King Cole, Bing Crosby, Johnny Cash, Glenn Miller, Buddy Holly, the Ink Spots, Betty Hutton, Sheldon Allman, Buck Owens and the Buckaroos, Bonnie Guitar, Herb Alpert & the Tijuana Brass, the Platters, Merle Travis, Perry Como, Dinah Washington, Brook Benton, Percy Faith, Michael Brown, June Christy, Jack Shaindlin, Metrotones, Cool Papa Jarvis, the Danleers, LaVerne Baker, Connie Conway, Jane Morgan…
Bring Me the Head of Dr. Siggi Wilzig.
I componenti del cast principale – Ella Purnell (“YellowJackets”), Walton Goggins (“the Shield”, “Justified”, “the Hateful Eight”), Kyle MacLachlan (“Dune”, “Blue Velvet”, “Twin Peaks”, “ShowGirls”, “High Flying Bird”), Moises Arias (“Monos”), Michael Emerson (“Lost”, “Person of Interest”) e Aaron Moten – reggono il peso loro affidatogli, affiancati da quello secondario (Xelia Mendes-Jones, Sarita Choudhury, Johnny Pemberton, Leslie Uggams, Michael Cristofer, Michael Rapaport, Zach Cherry, Annabel O'Hagan, Dave Register, Cherien Dabis, Michael Esper e Matt Berry) altrettanto valido, e da quattro impagabili piccole parti messe in scena da Chris Parnell (Benjamin, il supervisore monocolo del Vault 4, e il pensiero - non a causa di un rigurgito lombrosiano, ma per via della consimile caratterizzazione del personaggio - corre subito a “Futurama” e al padre di Turanga Leela; “Saturday Night Live”, “Rick and Morty”), Jon Daly [il “ciarlatano” (snake-oil salesman) scopa-galline; “I'm Dying Up Here”], Dale Dickey (Ma June; “the Pledge”, “Winter’s Bone”, “Hell or High Water”, “Leave No Trace”, “Unbelievable”, “Palm Springs”) e Michael Abbott Jr. (il contadinotto; “In the Radiant City”), più un cameo di Fred Armisen (DJ Carl), mentre le regìe sono affidate - oltre che a Jonathan Nolan - a Frederick E.O. Toye, Clare Kilner, Daniel Gray Longino e Wayne Yip, e le musiche originali sono di Ramin Djawadi (“Game of Thrones”, “WestWorld”, “3 Body Problem”).
Adesso tocca recuperare pure “Halo”?
Momenti WTF prevedibili (anche per chi, come me, non ha, mai, giocato un solo minuto a “Fallout”), con accenno di mini-spoiler: che il Sole sul viso di Lucy bambina sia quello vero e che la madre di una Lucy ora adulta sia quella al tavolo con Lee Moldaver a Shady Sands.
* * * ¾
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