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The New Look

1 stagioni - 10 episodi vedi scheda serie

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La recensione su The New Look

di mck
8 stelle

“It's such a new look!”? Beh, "quasi". Di certo “Nothing but Blue Sky!”

 

♥ ♥ ♥  MISS DIOR  ♥ ♥ ♥  

 

 

Il fantasma in vita che abita con le sue spoglie mnemoniche la trama del tessuto di Christian Dior (1905-1957; Ben Mendelsohn), e quindi di “The New Look” (10 ep., 2024, Todd A. Kessler), è Catherine Dior (1917-2008; Maisie Williams), la di lui sorellina, resistente partigiana: il suo, assieme a quello del fratello, mentre l’altro segue la parabola di Coco Chanel (1883-1971; Juliette Binoche), è uno dei 3 sottoinsiemi intrecciati o assi portanti della serie, ed è senz’altro tanto il più universale ed importante, pur essendo di fatto al contempo quello più collaterale, quanto il meno performante, un po’ perché pur essendo quello che occupa meno metraggio è anche quello più sacrificato – frazionato, sfilacciato e spezzettato - sull’altare/moviola del taglia e cuci e un po’ perché questi lacerti, queste rigaglie e questi cascami soffrono dell’eccessiva presenza di ricami di retorica compositiva: se i rovelli di Christian durante il suo definitivo distacco emancipatore dal cordone ombelicale di Lucien Lelong (1889-1958; John Malkovich) sort’innanzi all’opulenta fortuna che Marcel Boussac (1889-1980) investendo su di lui gli mise a disposizione sono essenzialmente (anche se possono parere incomprensibili a chi si esprime sull’argomento ignorandone le basi) un dato di fatto storico, il “tira e molla” pre-finale sul vengo / non vengo & vado / non vado di Catherine alla sfilata della prima collezione di moda del fratello nel 1947 -[quella che verrà ricordata per il conio da parte di Carmel Snow (1887-1961; Glenn Close), from Harper’s Bazaar, che ora nel tempo diegetico della storia a Miss Dior siede accanto, della da lì immediatamente proverbiale espressione sulla Nuova Moda (il Nuovo Sguardo, il Nuovo Aspetto) titolante la serie]- è scritto e organizzato male, cioè banalmente sfruttandone all’eccesso le dinamiche sino prima a renderlo e poi di conseguenza a rivelarlo…

 


– esemplificativa da questo PdV è la scena (ad ogni modo sinceramente commovente, al di là di ogni sovrautilizzata sovrastruttura narratologica pre-costituita con lo stampino) del seppellimento -[nell’aiuola del giardino di famiglia che sta terminando di completare in memoria del genitore defunto da poco - giusto il tempo di vederla tornare dalla prigionia - e che per quel poco, pur non avendo un idilliaco rapporto col figlio, non riuscirà a conoscere del figlio la fortuna e a sapere con quale potenza la schiatta Dior sarebbe grazie a lui risorta dal precedente schianto finanziario paterno) della fotografia dell’amica morta davanti a lei nel lager femminile di Ravensbrück -[quello in cui Irma Grese si fece le ossa prima di essere trasferita ad Auschwitz ed acquistare la fama di iena che la indirizzò al patibolo su cui finì per essere impiccata, mentre Catrherine fu poi trasferita in altri campi di concentramento, lavoro e sterminio, tra cui Buchenwald ("Jedem das Seine", "A Ciascuno il Suo"), e in altre prigioni e fabbriche militari, sopravvivendo e ritrovando la libertà che poteva esprimere prima dell'invasione e dell’occupazione nazista: la sua odissea durò 9 mesi]-, che si destreggia tra semplificazioni psicologiche cariche di retorica e, per l’appunto, “sincera” traduzione e finalizzazione di un lungo percorso di crescita, cioè di un ulteriore, infinito processo di conferma e di nutrizione dell’essere sopravvissuta –

 

 

…per quello che è, rendendone le motivazioni quasi incomprensibil: uno dei tanti dispositivi usurati e inflazionati adoperati nella serie (il più imperdonabile dei quali è l’ambiguo trattamento para-possibilista riservato alla questione cartomanzia, anche se proprio Catherine una bella strigliata alla veggente che pesca a strascico pasturando a caso, che da quel momento esce di scena, gliela dà, e si gode assai ben oltre le intenzioni degli autori).

 


Detto ciò, che in verità si potrebbe riassumere & tradurre con “Voglio uno spin-off su Catherine Dior!” (l’estrapolazioni fotogrammatiche di questa pagina sono a lei dedicate), questo primo progetto in solitaria di Todd A. Kessler, che col fratello Glenn e con Daniel Zelman già aveva creato “Damages” (sempre con Glenn Close) e “Bloodline” (sempre con Ben Mendelsohn), è tutto sommato ben degno d’attenzione (fotografia di Jaime Reynoso e Michal Sobocinski e musiche di James S. Levine), vuoi per il gran cast d’attori composto, oltre che dai già citati Ben Mendelsohn (bisognerebbe coniare per lui un neologismo: “overacting in sottrazione”), Juliette Binoche (tanto di cappello, facciamo Fendy così non scontentiamo i due litiganti), Maisie Williams (ce la mette tutta e spesso e volentieri ci riesce), John Malkovich (commuovente – così, senza dittongo mobile – e me-mo-ra-bi-le, punto) e Glenn Close, da Emily Mortimer (sempre a fuoco, via di mezzo tra Katherine Waterston ed Emily Browning, e qui nel ruolo di una pseudo-fittizia Elsa Lombardi, figura basata in larga parte su quella di Vera Bate Lombardi), Claes Bang (perfettamente malefico nei panni sporchi di Hans Günther von Dincklage), Charles Berling (Pierre Wertheimer), Nuno Lopes (Cristóbal Balenciaga), Thomas Poitevin (Pierre Balmain), Eliott Margueron (Pierre Cardin), Michael Carter (Maurice Dior, il capostipite) Joséphine de La Baume (Arletty), Olivia Ruiz (Édith Piaf), Gaëtan Wenders (Jacob Friedman) e David Kammenos (Jacques, il compagno di Christian), vuoi per due inquadrature (ep. 3 e 5) e una sequenza (ep. 5):

 


- 1ª inq.ra: al contrario che nella locandina di “the Zone of Interest”, dove l’oltre il giardino è virato al grado zero del corpo nero, qui il cielo agostano del ‘44 è azzurro/blu - cobalto, indaco, turchese - sopr’allla strada per il campo di “concentramento e lavoro”, aka stermino, di Ravensbrück: morte sotto all’inconsapevolmente indifferente Sole: l’antitetica dicotomia suprema;

 


- sequenza: il Lager non si vede, se non per “interposti superstiti”, con una scena (il cui climax è intuibilissimo, ma che con la forza d'abbrivio di ciò-che-è-stato comunque "funziona" - senza tirare per forza in ballo "Kapò" - ugualmente), quella del rientro a casa dei "salvati" (treno passeggeri e non merci), coi parenti ad aspettarli felici e speranzosi, sventolanti racemi di glicine, sino all'entrata in scena dei deportati liberati, macilenti e letteralmente distrutti, accompagnati da alcuni cadaveri su barella che non sono sopravvissuti al viaggio;

 


- 2ª inq.ra: un sospiro ch’è un rantolo (di vita).

 

 

Le regìe sono dello stesso Todd A. Kessler (ep. 1-2), delle già sottintesamente citate ed elogiate Helen Shaver (ep. 3-4 e 7-8; "Station Eleven") e Julia Ducournau (ep. 5-6; "Grave / Raw", "Titane") e dell’ottimo Jeremy Podeswa (ep. 9-10; "the Five Senses").

 

 

“It's such a new look!”? Beh, "quasi". Di certo “Nothing but Blue Sky!”

 

* * * ½/¾ - 7.25        

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