3 stagioni - 30 episodi vedi scheda serie
Not Penny's Boat.
Eh, per forza: è quella di Lyle Lovett!
Stai a vedere che “finalmente”, dopo una sequela improbabile di epigoni dichiarati o resi tali dalla “critica pubblicistica”, giunge a noi a 18 anni dalla sua nascita e a 12 dalla sua conclusione l’erede di “Lost” [nel bene e nel male, in maniera altrettanto altrettalmente (in)compiuta, da ciò che si può capire dopo questa 1a stag.], e non solo e non certo per la mera e pregevole presenza nel cast corale di Harold Perrineau in un ruolo principale, anche se forse un input consistente in tal senso l’hanno data in fase di costruzione dell’atmosfera la mano e l’occhio del regista principale della serie, Jack Bender, che della serie di JJ Abrams diresse 35 episodi su 121, vale a dire molto più di ¼ e quasi 1/3, compresi quasi tutti gli intro e gli outro, e che di questa “From”, creata dal semi-esordiente John Griffin (che la scrive interamente facendosi aiutare in un paio di occasioni da Vivian Lee e Javier Grillo-Marxuach, e che attualmente è al lavoro su “Crater”, ovvero McKenna Grace sulla Luna), firma i primi 4, lasciando gli altri 6 a Brad Turner, Jennifer Liao e Jeff Renfroe, nella misura di un paio accoppiati ciascuno.
Perché di fatto gl’ingredienti e la mano ci sono tutti: misteriosoni misterini mestieranti, fantascienza fantasyosa che apparentemente sembra seguire delle regole non dettate alla membro di segugio, ma rispondenti ad un criterio vagamente coerente a sé, e via elencando, con però una vena horror molto più marcata (qui lo dico e qui non lo nego, limitando gli esempi d’argomentazione all’ultimo decennio: più di “Under the Dome”, più di “the Mist”, più di “Castle Rock”, più di “the Stand” e forse persino più delle molto valide “22/11/’63”, “Mr. Mercedes” e “the Outsider”, questa è la più vera del vero serie dall’aura kinghiana mai messa in circolazione), ma d’altro canto una parimenti quasi totale assenza di nudità (anche se si passa da ABC ad MGM/Epix), etc…
Completano il cast Eion Bailey (Band of Brothers), Catalina Sandino Moreno (the Affair), David Alpay, Shaun Majumder, Scott McCord, Elizabeth Saunders, Pegah Ghafoori, Chloe Van Landschoot, Ricky He, Avery Konrad, etc… Alcuni personaggi - non i loro - sono un po’ respingenti, ma non per la loro natura, quanto piuttosto perché quel particolare lato della loro caratterizzazione è stato estremizzato malamente.
La prima cosa che ti convince a soffermarti durante lo zapping/scroll verticale e da lì a proseguire orizzontalmente con l’audiovisione è - oltre a un albero schiantatosi in mezzo alla strada occupando entrambe le carreggiate ed obbligandoti a prendere una via traversa - la sigla dei titoli di testa: l’art work (digitale, analogico e artigianale: i disegni a pastello), il montaggio di certi accennati minimi zoom e ovviamente soprattutto la musica (i Pixies che incidono per l’occasione una loro versione della “Que Sera, Sera (Whatever Will Be, Will Be)” scritta da Ray Evans e Jay Livingston e cantata da Doris Day per il “The Man Who Knew Too Much” di Alfred Hitchcock) ne fanno un bel vademecum anfitrionale, e persino l’iconicamente usurata stars and stripes sbiadita, lisa, strappata e resilientemente sventolante ha una parvenza di senso in tutto ciò.
Impagabil(ment)e (ammiccante), poi, sui titoli di (colpo di) coda del finale di stagione, ad introdurre il cliffhanger greyhoundesco, Neil Young con “Everybody Knows This Is Nowhere”…
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