2 stagioni - 16 episodi vedi scheda serie
Sembra un po’ come una specie di avventura.
«Frodo Baggins è discendente acquisito di Bilbo Baggins (erano cugini). La Terra da piatta divenne tonda. Gesù Cristo è discendente di Davide, il quale a sua volta è discendente di Abramo. Ecco l'elenco degli antenati della sua famiglia: Abramo fu il padre di Isacco; Isacco di Giacobbe; Giacobbe di Giuda e dei suoi fratelli; Giuda fu il padre di Fares e Zara (loro madre fu Tamar); Fares di Esrom; Esrom di Aram; Aram fu il padre di Aminadàb; Aminadàb di Naassòn; Naassòn di Salmòn: Salmòn fu il padre di Booz (la madre di Booz fu Racab); Booz fu il padre di Obed (la madre di Obed fu Rut); Obed fu il padre di Iesse; Iesse fu il padre di Davide. Davide fu il padre di Salomone (la madre era stata moglie di Urìa); Salomone fu il padre di Roboamo; Roboamo di Abìa; Abìa di Asàf; Asàf fu il padre di Giòsafat; Giòsafat di Ioram; Ioram di Ozia; Ozia fu il padre di Ioatam; Ioatam di Acaz; Acaz di Ezechia; Ezechia fu il padre di Manàsse; Manàsse di Amos; Amos di Giosia; Giosia fu il padre di Ieconia e dei suoi fratelli, al tempo in cui il popolo d'Israele fu deportato in esilio a Babilonia. Dopo l'esilio a Babilonia, Ieconia fu il padre di Salatiel; Salatiel fu il padre di Zorobabèle; Zorobabèle fu il padre di Abiùd; Abiùd di Elìacim; Elìacim di Azor; Azor fu il padre di Sadoc; Sadoc di Achim; Achim di Eliùd; Eliùd fu il padre di Eleàzar; Eleàzar di Mattan; Mattan di Giacobbe; Giacobbe fu il padre di Giuseppe; Giuseppe sposò Maria e Maria fu la madre di Gesù, chiamato Cristo. Dunque da Abramo a Davide ci sono quattordici generazioni; dal tempo di Davide fino all'esilio di Babilonia ce ne sono altre quattordici; infine, dall'esilio in Babilonia fino a Cristo ci sono ancora quattordici generazioni.»
J.R.R. Tolkien - Apocrifo (con la collaborazione di Matteo Apostolo Evangelista)
Prequel & Appendici:
1. il Re-Inizio del Lungo Cammino: “the Lord of the Rings: the Rings of Power” (fine della Seconda Era: migliaia di anni prima degli eventi affrontati - fine della Terza Era - in “lo Hobbit” e “il Signore degli Anelli”);
2. Preparativi per la Danza dei Draghi: “Game of Thrones: House of the Dragon” (112 After Conquest: 172 anni prima della nascita - 284 AC - di Daenerys Targaryen, con GOT che inizia nel 298 AC).
Un importante punto in comune fra i due lavori, oltre al fatto ch’entrambe le serie sono dei prequel tratte da dei legendarium storici (enciclopediche appendici romanzate e mitopoietici compendi cronachistici) a supporto del filone narrativo principale e atti a comporre un complesso e coerente world building (“il Silmarillion & C.” in un caso e “Fire & Blood” nell’altro), consiste nel fatto che in ambedue le opere, ad un certo punto, un re, in punto di morte, confonde in un caso (Vyseris I Targaryen, il Pacifico) la moglie (Alicent Hightower, la regina di seconde nozze, madre dell’erede secondo in successione) con la figlia (Rhaenyra Targaryen, la principessa erede legittima) e nell’altro (Tar-Palantir) una studentessa (Eärien, sorella di Isildur e figlia di Elendil) con la figlia (Míriel, la regina reggente), generando così dei fraintendimenti che porteranno a delle conseguenze (il sogno di Aegon il Conquistatore che viene scambiato da Alicent per il via libera all’incoronazione al trono di Aegon il Bimbominkia in un caso e quel che vede Eärien nel palantir, la pietra/sfera veggente/predittoria, nell’altro) il cui grado d’importanza crescerà col tempo in maniera esponenziale.
- Tre? Perché tre?
- Uno corromperà sempre. Due divideranno.
- Ma… con tre… c’è un bilanciamento.
Patrick McKay & John D. Payne, alla loro prima (fino a questo momento erano solamente non-accreditati come co-sceneggiatori dello “Star Trek: Beyond” di Justin Lin) produzione, ehm, importante (l’apoteosi del significato di “eufemismo”), con la collaborazione di Gennifer Hutchison (“Breaking Bad” e “Better Call Saul”) in primo luogo, e poi di Jason Cahill, Justin Doble, Stephany Folsom e Nicholas Adams, creano, sviluppano e showrunnerizzano, traendolo da quello sterminato coacervo organizzato di elenchi di nomenclature e di avvenimenti romanzati, un prodotto più che decente e coerente, in linea col valore delle due trilogie peterjacksoniane.
Degne “eredi” di sé stesse e dei loro “pronipoti”, Morfydd Clark (“the Falling”, “Eternal Beauty”, “Saint Maud”, “His Dark Materials”, “Dracula”) è una “sorprendente”, convincente e canonicamente “cazzuta” giovin Galadriel, che dialoga a distanza e alla pari con la grazia di Cate Blanchett, e Markella Kavenagh (“PicNic at Hanging Rock” e, con la Milly Alcock di HotD, “the Gloaming”) è Nori Brandyfoot, una Bilbo/Frodo (al fianco di Gandalf) che “ripete” (precede sui propri altri passi) alla grande l’Avventura (la versione “disneyana” dell’Arya Stark HBO diretta verso il West).
“Chiudono” lo sterminato cast Charlie Vickers (Halbrand, per gli amici così come per i nemici Sauron), Ismael Cruz Córdova (l’elfo Arondir), Owain Arthur (il principe dei nani, Durin IV), Nazanin Boniadi (l’umana Bronwin), Dylan Smith (il padre di Nori), Robert Aramayo (il mezzelfo Elrond), Lloyd Owen (l’umano Elendil), Daniel Weyman (lo Straniero, per gli amici così come per i nemici Gandalf), Joseph Mawle (l’uruk/elforco Adar), Maxim Baldry (l’umano Isildur, figlio di Elendil e fratello di Eärien), Cynthia Addai-Robinson (l’umana Míriel, regina reggente di Númenor), Tyroe Muhafidin (il figlio di Bronwin), Ema Horvath (l’umana Eärien, figlia di Elendil e sorella di Isildur), Charles Edwards (l’elfo Celebrimbor), Lenny Henry (il leader dei pelopiedi), Benjamin Walker (il re degli elfi, Gil-Galad), Sophia Nomvete (Disa, principessa dei nani, moglie di Durin IV), Trystan Gravelle (l’umano Pharazôn, consulente di Míriel), eccetera.
Menzione a parte per Peter Mullan (il re dei nani, Durin III), che giganteggia sotto a chili di trucco prostetico.
Otto episodi - da circa un’ora abbondante l’uno - per tre registi: a J.A. Bayona sono affidati i primi due (si punta sul sicuro confidando nell’artigianale professionalità che, nel bene - come qui, tutto sommato - e nel male, sta dietro alla MdP di “the Orphanage”, “the Impossible”, “A Monster Calls”, “Jurassic World: Fallen Kingdom” e “Society of the Snow”), la veterana Charlotte Brändström (“Counterpart”, “the Outsider”) ha invece il compito di mettere in scena gli episodi (il 6° e il 7°) à la “Dracarys!”, e lei li porta a casa con ponderata e poderosa sicurezza ed energica efficacia, mentre Wayne Che Yip (“Misfits”, “Utopia”, “Dirk Gently”, “Doctor Who”, “Happy!”, “Hunters”, “the Wheel of Time”) si occupa dei restanti 4, compreso quindi il finale di stagione, che chiude l’annata con un ottimo... “Amalgama”.
Fotografia di Aaron Morton (Black Mirror: PlayTest, MetalHead e BanderSnatch), Alex Disenhof (“City on a Hill”, “Legion”, “the Mosquito Coast”, “Alice”) e, in quota Bayona, Oscar Faura.
Il montaggio, come in quasi tutte le produzioni di questa tipologia, salvo rare eccezioni, alla fine è (premesso che, come diceva quello, “il cinema è montaggio”) la cosa meno autoriale del carrozzone.
Scenografie di Ramsey Avery e Rick Heinrichs. Costumi di Kate Hawley.
Musiche di Bear McCreary (“BattleStar Galactica”), costruite “attorno” al tema principale di Howard Shore, mentre la canzone su titoli di coda della stagione è interpretata da Fiona Apple.
La Nuova Zelanda interpreta la Terra di Mezzo. Producono New Line Cinema e Amazon Studios, che distribuisce.
- ...qualunque periglio ci attenda lungo la via.
- Sembra un po’ come una specie di avventura.
- Da soli, è un viaggio e basta. Ma le avventure… vanno condivise.
[Notazione final trasversale. Sulla vessata non-questione del così - dal patriottaggio verbale delle gaddiane marieluise e della loro schiatta di minus/mongo/handy-habens - detto "black-washing" o, più in generale, "forced diversity", ho già riassunto, in coda, QVI.]
* * * ½
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