2 stagioni - 18 episodi vedi scheda serie
Un prequel all’altezza dell’originale serie madre.
•I• Tra la sorella-moglie e il fratello-marito non mettere il dito.
Non c’è cosa più divina / che scoparsi la cugina.
E quante cose porta in dote / poi scoparsi la nipote!
(Tipo una visita dei carabinieri / alle cinque di mattina.)
George R.R. Martin (apocrifo, basato s’un canto popolare).
Partendo dal presupposto che col buon senso da Ryan J. Condal (co-autore di due script per Dwayne Johnson - Hercules e Rampage - e co-creatore col Carlton Cuse di “Lost” delle tre stagioni di “Colony”) non ci si poteva aspettare ‘sto granché di buono e quindi tutto quello che di accettabile ne fosse venuto, beninteso col beneplacito attivo di George R. R. Martin, sarebbe stato gradito, il fatto è che qui da gradire ce n’è a bizzeffe: “House of the Dragon” è “Game of Thrones” a tutti gli effetti.
Ma a me dice il dottore / che draghi così grandi
Nei sogni del paese / lui non ne ha visti mai!
Mattia Andreoli in arte Maler (parafrasi apocrifa, basata s’una canzone pop).
Se “Game of Thrones” è l’ultimo rantolante spasmo della tranciata coda della dinastia Targaryen che balla il suo ballo di San Vito sullo sfondo di una possibile, anzi probabile, fine del mondo, “House of the Dragon” ne racconta l’inizio della fine [mantenendo sempre accesa la pre(am)monitoria scintilla delle Cronache/Ballate del Ghiaccio e del Fuoco su quel che prima o poi scenderà dal Nord oltrepassando/abbattendo la Barriera]. E accumulando ossa (crani) di drago. E uova…
“La Storia non ricorda, mai, il sangue. Ricorda i nomi.”
Dopo 80 anni di pace è tempo di far tornare i draghi a danzare (ogni riferimento allo Stato delle Cose che stiamo vivendo, governato da uno ZeitGeist alcolizzato, è puramente voluto). Primo valzer dei cieli: Vhagar trancia in due con un morso Arrax. E guerra fu(mmo).
Prequel & Appendici:
1. Preparativi per la Danza dei Draghi: “Game of Thrones: House of the Dragon” (112 After Conquest: 172 anni prima della nascita - 284 AC - di Daenerys Targaryen, con GOT che inizia nel 298 AC);
2. il Re-Inizio del Lungo Cammino: “the Lord of the Rings: the Rings of Power” (fine della Seconda Era: migliaia di anni prima degli eventi affrontati - fine della Terza Era - in “lo Hobbit” e “il Signore degli Anelli”).
Un importante punto in comune fra i due lavori, oltre al fatto ch’entrambe le serie sono dei prequel tratte da dei legendarium storici (enciclopediche appendici romanzate e mitopoietici compendi cronachistici) a supporto del filone narrativo principale e atti a comporre un complesso e coerente world building (“il Silmarillion & C.” in un caso e “Fire & Blood” nell’altro), consiste nel fatto che in ambedue le opere, ad un certo punto, un re, in punto di morte, confonde in un caso (Vyseris I Targaryen, il Pacifico) la moglie (Alicent Hightower, la regina di seconde nozze, madre dell’erede secondo in successione) con la figlia (Rhaenyra Targaryen, la principessa erede legittima) e nell’altro (Tar-Palantir) una studentessa (Eärien, sorella di Isildur e figlia di Elendil) con la figlia (Míriel, la regina reggente), generando così dei fraintendimenti che porteranno a delle conseguenze (il sogno di Aegon il Conquistatore che viene scambiato da Alicent per il via libera all’incoronazione al trono di Aegon II, il BimboMinkia, in un caso e quel che vede Eärien nel palantir, la pietra/sfera veggente/predittoria, nell’altro) il cui grado d’importanza crescerà col tempo in maniera esponenziale.
Del tutto “casualmente” (ma giocoforza per via dei nodali tópoi storico-caratteriali puntellanti le varie narrazioni), poi, vi sono alcune concomitanti similitudini contenutistiche con altre coeve opere recenti, come ad esempio l’accettazione del proprio destino da parte di Daemon, lo zio paterno di Rhaenyra, in “House of the Dragon” (salvo un imprevisto cambio repentino di rotta dovuto ad un fatale parto distocico), ch’è simile a quella di George, lo zio materno di Birdy, in “Catherine Called Birdy” di Lena Dunham, mentre, a proposito di gravidanze e sgravamenti (ovvero: il menarca per i monarchi), “curioso” è l’utilizzo dell’espulsione fetale come metronomo della Storia tanto in “HotD” (e giammai in “Lord of the Rings: the Rings of Power”), in cui la nascita del terzo figlio della primogenita - ma seconda in linea di successione al trono - Targaryen segna lo stacco netto tra le due epoche in cui è suddivisa la 1ª stag., senz’alcun utilizzo né di analessi né tantomeno di prolessi, quanto in “the Serpent Queen” (un guilty pleasure à la Ryan Murphy, quindi molto più guilty che pleasure), in cui il passaggio di testimone dall’adolescenza all’età adulta è un po’ più drastico (ma tutta la vicenda sfrutta il dispositivo del flashback, senza flashforward, mettendo in relazione l’età matura prima con la giovinezza e poi con l’emancipazione), comparendo al momento della nona (ed ultima, e nella realtà decima, perché gemellare: un’infante nata morta e l’altra sopravvissuta un paio di settimane) venuta al mondo di un erede Valois/Medici.
[Cliccare qui o sull’immagine (da Reddit, qui e qui) per…
…ingrandirlaaaaah-AAAAAH!!!]
•II• “Il topastro è il simbolo dell’evidenza.”
Per quanto riguarda la fantascienza, il fantasy e l’horror in questo periodo fuori dalla realtà [e non mi riferisco certo alle pandemie di super-influenze, né ai cambiamenti climatici siccitosi e alluvionali dovuti al surriscaldamento globale, né alle perenni rivoluzioni in farsi (anche letteralmente: iraniane) e alle guerricciole sempiterne (fronte Dnipro o Mar Cinese Oriental-Meridionale), né agli arsenali nucleari preallertati, che della Trama del Mondo sono nodi sinaptici] hanno improvvisamente ripreso a comparire sulle prime pagine mainstream cronache di persone morte annegate, bruciate in esplosioni, avvelenate/ustionate dalla salamoia di salsedine, olio motore e miscela di idrocarburi per propulsori diesel e – già stremate dalle condizioni detentive nei lager della Libia “riunificata”, nei quali sono giunte attraversando il Sahara o, peggio, nei quali fanno addirittura ritorno dopo essere state intercettate e respinte in acque (non inter)nazionali – per la sete e la fame mentre attraversavano braccia di Mar Mediterraneo imbarcate su scassati natanti di fortuna. E mi sembra anche giusto: d’altronde le elezioni hanno decretato l’ascesa di un governo neo-fascista liberal-sovranista (sanità e aborto, disuguaglianze sociali e politiche migratorie, tasse e pensioni, riforme giudiziarie e costituzionali) al potere, e quei cadaveri schroedingeriani sono un’arma. E mi par pure un poco maleducato e di cattivo gusto far notare al centro-centrosinistra trapuntato di pentastelle che forse dovevano svegliarsi un po’ prima, da quegl’inetti e incapaci che sono, no? Sì, dai, non si fa.
Per fortuna che, come soleva ripetere il Good Doctor (un emigrato russo) nelle sue introduzioni a corollario delle antologie sulle Grande Storie della Fantascienza da lui compilate, c’è il Real World…
Ed è così che “House of the Dragon”, al netto degli abituali e costitutivi What the Fuck (tipo Rhaenys, la regina-che-mai-nomfup, che quatta quatta scende nel garage sotterraneo e si riprende Melys sotto al naso, agli occhi e in barba alle capocce dorate proprio tale e quale a Pinuccio O’ Catalitico che nell’estate dell’ottantotto si arrubbò tutti i cinquantini truccati della GESCAL senza essere beccato, un po’ come se Aleksei Navalny si allontanasse un attimo dalla colonia penale IK-6 di Melekhovo per andare a fregarsi l’incrociatore lanciamissili sottomarino K-329 Belgorod, e poi se ne va senza vrusciarne manco mezzo - Daenerys non ha proprio insegnato niente di nulla, manco a ritroso -, ché mica può essere lei a fare tutto il lavoro sporco per l’amorosa coppia zio-nipote, e poi nella seconda stagione che facciamo, aiutiamo la sorella-moglie di Aegon II, il Bimbominkia, a ricamare ragni all’uncinetto?) e con un finale che, sì, costruisce bene il pathos (macchina da presa che avanza lentamente seguendo Matt Smith, latore di un carico di orribili nuove, e abbandonandolo per un momento superando il tavolo-mappa da battaglia-guerra illuminato dalle braci - in pratica una lavagna...
...luminosa ante litteram: ottima invenzione - per poi ritrovarlo al fianco di Rhaenyra che, una volta ricevuta la ferale notizia, incassa magnificamente la testa tra le spalle inarcate), ma poi sciupa un po’ tutto con un acme che si stempera in una foto venuta male, e non per colpa di Emma D’Arcy, ma del regista Greg Yaitanes - non completamente all’altezza (quasi 70 ep. di “House, M.D.” non equivalgono a mezz’ora di GoT/HotD) del materiale messogli a disposizione, e già autore dell’orrida messa in scena del repentino, sbrigativo e troppo facile decarapaggio del...
...temibile (?) Re Granséola, il CrabFeeder (il foraggiatore di granchi, l’allevatore di cozze, lo squartatore di vongole, il seviziatore di patelle), al termine del 3° ep., con uno sbudellante squartamento fuori campo - che non ha detto “Ok, buona, ma giriamone un’altra!”, si rivela essere una scommessa vinta contro molti pronostici e soprattutto dopo che il pilot di “BloodMoon” con Naomi Watts (un prequel non di un paio di secoli, ma di 10.000 anni – s’una scala temporale più à la “Lord of the Rings” ← “the Rings of Power”, insomma – antecedente alle vicenda narrate in GoT) è stato stoppato in fase di post-produzione avanzata.
Paddy Considine (Viserys) giganteggia da par suo, superando sé stesso nell’8° ep., scritto da Eileen Shim e diretto da Geeta Vasant Patel, entrambe non certo alla loro prima prova in assoluto, ma senz’altro alla loro prova più importante, se non addirittura alla loro prima prova veramente importante.
Milly Alcock (“UpRight”, “the Gloaming”, “Reckoning”) costituisce la “sopresa” più grande: purtroppo a parte qualche improbabile flashback nelle stagioni successive il suo percorso (Rhaenyra da adolescente) in HotD è da ritenersi concluso, ma il futuro è suo.
Emma D’Arcy (“WanderLust”, “Truth Seekers”; Rhaenyra da adulta), Rhys Ifans (“Human Nature”, “Greenberg”; Otto Hightower) e specialmente Matt Smith (“Womb”, “Doctor Who”, “the Forgiven”; Daemon) non sono mai stati così bravi, e di solito sono molto bravi.
Completano il cast Ewan Mitchell (Aemond), Olivia Cooke (Alicent Hightower da adulta), Fabien Frankel (Criston Cole), Eve Best (Rhaenys), Steve Toussaint (Corlys Velaryon), Tom Glynn-Carney (Aegon II), Emily Carey (Alicent Hightower da adolescente), Graham McTavish (Harrold Westerling), Matthew Needham (Larys Strong), Bill Paterson (Lyman Beesbury) e Gavin Spokes (Lyonel Strong), mentre Sonoya Mizuno (“Ex Machina”, “DEVS”) è (Puttana la Mysaria, copyright dell’Antro Atomico del Dr. Manhattan) un gran bel valore aggiunto.
Miguel Sapochnik (Repo Men, True Detective, Game of Thrones, Finch), anche co-showrunner con Ryan Condal (che scrive 3 ep. Più uno in condivisione con Gabe Fonseca), dirige 3 ep., Greg Yaitanes 4, Clare Kilner 3 ed Eileen Shim 1. Le restanti sceneggiature sono opera di Sara Hess, che ne firma due, e di Ira Parker, Charmaine DeGraté, Kevin Lau ed Eileen Shim, con uno ciascuno.
Fabian Wagner e Tim Porter, entrambi al lavoro su “Battle of the Bastards” (GoT s6e9) e “the Long Night” (GoT s8e3), sono rispettivamente a capo del team dei direttori della fotografia e di quello dei montatori, mentre Ramin Djawadi organizza anch’egli una partitura in sintonia con quella della serie madre, cioè ottima.
[Notazione final trasversale. Sulla vessata non-questione del così - dal patriottaggio verbale delle gaddiane marieluise e della loro schiatta di minus/mongo/handy-habens - detto "black-washing" o, più in generale, "forced diversity", ho già riassunto, in coda, QVI.]
Un prequel all’altezza dell’originale serie madre.
* * * ¾ (* * * * ¼)
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