1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie
Sarà pure banale affermarlo/ribadirlo, ma le serie televisive - e con loro, ovviamente, i film - non sono tutte uguali, si distinguono tra di loro già prima di essere fruibili. Divisioni scaturite in funzione delle aspettative, del fascino esercitato dal soggetto, dall’hype che ne anticipa la genesi e il seguente approdo su un network, dalla direzionalità prescelta e perseguita. Tutti requisiti che separano chi viene accolto con facile benevolenza da chi invece è atteso al varco da un plotone di esecuzione pronto a far fuoco al primo segno di cedimento, chi deve confrontarsi con un brillante – e ingombrante - passato, da cui si abbevera espressamente, da chi invece ha inesplorate praterie da solcare, potendo muoversi con maggiore autonomia, a briglia sciolta.
Nella galassia di Star Wars, in ambito seriale la Disney ha lavorato egregiamente fin dall’alba del suo corso di piattaforma autonoma. Con The Mandalorian è riuscita a redigere un prodotto completo, di esplicito intrattenimento toccando occasionalmente nervi sensibili, ribadendo il concetto con The book of Boba Fett, fondamentalmente due pacchetti intersecati, che vanno felicemente a braccetto.
Inutile dire che con Obi-wan Kenobi cambia tutto, drasticamente. Se da una parte dalle zone di contorno si entra nella carne viva del mito, dall’altra cambiano scenario, impostazioni e coesione, così come la resa, questa volta più discutibile, per un insieme maggiormente soggetto alla critica e alla delusione, talora anche cocente.
In seguito a quanto accaduto una decina d’anni prima (vedi Episodio III: La vendetta dei Sith), Obi-wan Kenobi (Ewan McGregor - Trainspotting, Moulin rouge) vive appartato, come un uomo qualunque sul pianeta Tatooine, dove può tenere sotto vigile controllo il giovane Luke, nonostante il padre del bambino (Joel Edgerton – Ozark, It comes at night) non voglia saperne nulla di lui.
Nel frattempo, gli inquisitori sono a caccia di jedi e la giovane Reva (Moses Ingram – La regina degli scacchi) vuole bruciare le tappe, mentre la piccola Leia (Vivien Lyra Blair – Bird box) viene rapita.
A questo punto, Obi-wan Kenobi è obbligato a tornare in pista. Esattamente quanto desiderato e auspicato da Darth Vader (Hayden Christensen – Episodio II: L’attacco dei cloni, Jumper), che vuole rintracciarlo, per affrontarlo e ucciderlo.
Come anticipato in apertura, la miniserie Obi-wan Kenobi alza inevitabilmente e forzatamente il livello di responsabilità e ambizioni, resuscitando una parte centrale e nodale del mito, un protagonista che aveva lasciato un segno inequivocabile già agli albori in Guerre stellari e in L’impero colpisce ancora.
Appurato che Ewan McGregor possiede il talento e l’espressività per risultare credibile come predecessore del leggendario Alec Guinness (Il ponte sul fiume Kwai, La bocca della verità), non può dirsi altrettanto di questa produzione nella sua interezza, che troppe volte tergiversa e non premia, come avrebbe meritato, il protagonista d’eccezione che si ritrova tra le mani.
Aspetto che più volte appare lapalissiano, tra scene d’azione radiocomandate senza sprigionare qualità particolari (talvolta anche mutilate prima che possano sfogarsi pienamente), una modulazione dell’incedere che in troppe circostanze mostra il fiato corto e presta il fianco, incapace di valorizzare la linfa insita nelle sue corde, altalenante nelle spaziature, con alcune – nemmeno troppo rare - cadute di tono che denotano una supervisione superficiale, soprattutto se consideriamo come la galassia della serialità sia da alcuni lustri cresciuta esponenzialmente nello sviluppo delle narrazioni.
Inoltre, tutto ciò avviene nonostante l’intera direzione sia stata affidata a un’unica conduzione (particolare che avrebbe dovuto agevolare il consolidamento di una costituzione più omogenea), ossia nelle mani di Deborah Chow, una regista canadese con svariate esperienze nel formato nell’ultimo decennio (da Mr. Robot a The man in the high castle, da Better call Saul fino al limitrofo The Mandalorian).
Tuttavia, per quanto la palla al balzo sia acciuffata solo occasionalmente, basta davvero un guizzo transitorio per risvegliare la forza, è quasi un’inerzia inevitabile, soprattutto quando confronti lungamente attesi tra icone indimenticabili prendono il sopravvento (va da sé che una buona parte del peso specifico è determinato dalla spalla che, di volta in volta, affianca il protagonista).
Insomma, Obi-wan Kenobi dispensa indicazioni contrastanti. Possiede un distintivo effetto di fascinazione ma contiene anche bruschi e deleteri risvegli, piazza accelerazioni e di lì a poco palesi cali di ritmo, solletica la memoria degli appassionati riproponendo la sempreverde lotta tra il bene e il male ma maltratta il mezzo espressivo che utilizza.
Tra giri di ricognizione e chiusure del cerchio, spazi da riempire e new entry, ravvedimenti e convinzioni, missioni di salvataggio e fughe repentine, credenziali prestigiose e incertezze difficili da perdonare, vicende personali che risvegliano scorci antichi e congiunzioni logiche compromesse, con condimento aggiunto fornito da numerose partecipazioni estemporanee (tra gli altri, Kumail Nanjiani, Flea, Benny Safdie, Zach Braff).
Gracile e intraprendente, rabberciato e sussultante.
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