1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie
Ogni fatto/evento può essere osservato, rivelato e raccontato in vari modi, semplicemente cambiando l’inclinazione dello sguardo, il punto da cui la narrazione prende il via e la direzione della sua estensione. Quando poi un’unica ricostruzione gode un bagaglio talmente vasto e diversificato da contemplare discordanze radicali, dei posizionamenti privilegiati che spaziano tra ciò che è di dominio pubblico e la sfera protetta del privato, il materiale a disposizione acquisisce automaticamente un volume abbondante.
Gaslit annovera tutto questo e va anche oltre. Ricostruendo il caso Watergate, approccia la stessa genesi di un’iniziativa assurda e sciagurata, tratta il suo fallimento sul campo, ne segue le conseguenze immediate, non rinuncia neanche a inseguire quelle a lunga scadenza, facendo l’altalena tra entità appartenenti a ogni tipo di ordine e grado, tra ciò che è ufficialmente documentato ed elementi aggiunti a favore dell’esposizione.
Quando mancano solo otto mesi alle elezioni, nonostante Richard Nixon sia dato in clamoroso vantaggio sul contendente democratico, su pressione insistita di G. Gordon Liddy (Shea Whigham – Take shelter, The quarry), la catena di comando che cura la campagna elettorale - guidata da John Mitchell (Sean Penn – Dead man walking, Mystic river) e dal fidato Jeb Magruder (Hamish Linklater – Midnight mass) - dà il via libera a un’operazione per spiare le comunicazioni degli avversari.
Il piano va a rotoli, gli avventori sono arrestati in flagranza reato e viene aperta un’inchiesta che, affidata agli agenti dell’Fbi Angelo Lano (Chris Messina – Sharp objects, Devil) e Paul Magallanes (Carlos Valdes – The Flash), parte sottotono, ostacolata anche dall’interno da chi, come L. Patrick Gray (John Carroll Lynch – The founder, Gothika) può accedere alle informazioni in anticipo.
Nel frattempo, Martha Mitchell (Julia Roberts – Erin Brockovic, Pretty woman), oltre a confrontarsi con la giornalista Winnie McLendon (Allison Tolman - Fargo, Stagione 1) per predisporre una scottante autobiografia, non manca di rilasciare dichiarazioni pubbliche che mettono in crisi suo marito John, mentre un elemento tanto marginale quanto ambizioso qual è John Dean (Dan Stevens – The guest, I’m your man, Legion), fresco della relazione con l’intraprendente Mo (Betty Gilpin – The hunt, Non è romantico?), diviene un tassello fondamentale.
Nonostante i tanti interventi volti a compromettere l’emersione della verità, il caso finirà per sconvolgere la democrazia degli Stati Uniti, arrampicandosi fino ai massimi vertici della sua struttura.
Basata sul podcast Slowburn di Slate, Gaslit è una miniserie ideata da Robbie Pickering, in precedenza al lavoro su Mr. Robot (non a caso, Sam Esmail compare tra i produttori esecutivi), che entra nelle segrete stanze dei bottoni per offrire la versione dall’interno di quanto già narrato a suo tempo dal celeberrimo e superbo Tutti gli uomini del Presidente, ampliando a dismisura l’ampiezza del cono visivo e conoscitivo, bazzicando tra tanti personaggi e risvolti, talvolta entrando, con difformi gradi di profondità, negli interstizi dell’intimità.
Inizialmente, prende le misure di un gruppo di uomini di vario rango, li punta con il mirino denigrandoli, descrivendoli come ottusi e spregiudicati, volgari e inaffidabili, incapaci e pericolosi, consumati dal potere, da una fedeltà malata, dal solo desiderio di essere considerati dal grande capo. Contemporaneamente, apre finestre - più o meno salienti e prolungate - sulle loro donne, tagliate fuori dalle scelte cruciali ma acute e fragili, capaci di tirare fuori gli artigli. In tal senso, se una Martha – come importanza - si mangia il suo potente marito, non è da meno Mo, che letteralmente addomestica e pilota il suo uomo, e poi basta una sola scena ad altre compagne (nella fattispecie, di Liddy e Magruder) per lasciare un segno inequivocabile.
Allargando il discorso, Gaslit punta la pistola sulla politica che, come – ahinoi - ben sappiamo, offre il peggio di sé in zona elezioni,con il lato più bieco dell’essere umano che prende il sopravvento, tra cieco fanatismo e barricate erette rinunciando a qualunque forma di obiettività. Inoltre, tra contrappunti ed entrate in gamba tesa, miscela drammi personali e commedia acida, dissemina malumori esistenziali e propositi belligeranti, riprende lo spirito arrembante di Vice e ricorda i fratelli Coen per l’odissea - a tratti grottesca - vissuta da inetti che oltrepassano ogni soglia pensabile della razionalità.
Contestualmente, addentrandosi in una quantità notevole di lidi per raffigurare una reazione a catena che i goffi tentativi di contenere i danni non possono arginare e rintuzzare, con una patata bollente che passa ripetutamente da una mano all’altra, si taglia le gambe da solo, perdendosi tra affluenti e rivoli dispersivi, con un ping pong estenuante tra troppi personaggi da seguire e da riprendere, in alcune circostanze anche fuori tempo massimo.
In ogni caso, questo schieramento a tutto campo che chiama in causa tanti soggetti, è valorizzata da un cast extra lusso, un battaglione di interpreti perfettamente calati nel contesto. Se Sean Penn è quanto mai mimetico, sommerso com’è dal trucco, sguazzando in un ruolo spregevole e trattenuto, Julia Roberts è magnificamente sugli scudi, al pari dell’ardente Betty Gilpin. Entrambe, offrono un’interpretazione polifonica tra fragilità e tenacia, palesando un coinvolgimento pervicace che non lascia dubbi. Infine, Shea Whigham caratterizza alla perfezione un invasato fuori controllo, mentre Dan Stevens ricopre un sostanzioso spettro emotivo, per giunta perennemente instabile.
Complessivamente, Gaslit – diretta interamente da Matt Ross (Captain fantastic) - istituisce un impianto corale con conciliaboli serrati e molteplici attrattive, probabilmente troppe per costituire e mantenere l’ordine, per saldare gli ingranaggi portanti e le giunture secondarie. Macina informazioni e semina personaggi, apparecchia più canali comunicativi, ispeziona gli stati d’animo, predispone un perpetuo fuoco incrociato, vola alto per poi incartarsi, sebbene una ripartenza sia sempre dietro l’angolo, a portata di mano.
Tra imboscate e scampoli di conforto, viscidi avvoltoi e agnelli sacrificali, covi di vipere e angoli di sollievo, bastone e carota, campanelli d’allarme e manovre aberranti, degrado morale e voci fuori dal coro, alfieri e pedine, attriti e rappacificazioni, lotte intestine e attimi di conforto, spine nel fianco e sostegni, gerarchie variabili e paletti imprescindibili.
Tagliente e velenoso, vigoroso e frammentato.
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