3 stagioni - 30 episodi vedi scheda serie
Salute, culo e talento!
“Vita da Carlo”, un “Verdone’s Festival” composto da 10 episodi da mezz’ora l’uno prodotti da Filmauro (Aurelio e Luigi De Laurentiis) e distribuiti da Amazon (tutti e tre simbolicamente incarnati da Stefano Ambrogi), segna un passo in avanti rispetto al precedente “Si Vive una Volta Sola”, attestandosi s’una sufficienza piena dettata da due fattori: talune volte, si ride molto, talaltre, no, ed è inevitabile chiedersi se le battute e le scene(tte) poco riuscite siano presenti per fare minutaggio oppure se quelle riuscite siano frutto di un mestiere che procede col pilota automatico.
Carlo Verdone, un “fantasma gentile”, in questo universo parallelo la cui linea spazio-temporale ha ripreso a scorrere distanziata dalla nostra, ma per la maggior parte del percorso intersecandosi e rimanendovi simile, dopo avere iniziato a divergere da essa decenni prima [“qui ed ora” Alessandro Haber è un attore decaduto (da confrontare col Gianni Cavina alias “Pupi Avati” ne “il Regista di Matrimoni” di Marco Bellocchio), Rocco Papaleo fa lo spacciatore peripatetico, Augusto Biascica (Paolo Calabresi) non è capo-elettricista ma sceneggiatore mancato, Marco “Morgan” Castoldi si è ritirato in un convento (e cita/omaggia/imita Franco Battiato pre/post mortem: molto meglio di Luciana Littizzetto che, incolpevole, in “Dinner Club” definisce Raffaella Carrà “immortale”) invece che a “Ballando con le Stelle”, Enrico Michetti ("Chi?!") non esiste (va beh, come nella realtà…), l’emergenza CoViD19 sembra essere già rientrata, eccetera; mentre la “valida Vallorani” (Stefania Blandeburgo) si rivelerà essere la “renziana Vallorani”, ché qualche punto fermo ci vuole], deve superare varie prove giornaliere (famiglia, amici, amore, lavoro) cui lo costringe la vita: in pratica è uno... “SPID Game” innestato in un “Boris” che potrebbe intitolarsi “Diego” (come Nargiso), o al massimo “Omar” (come Camporese, che per almeno ben due volte portò proprio Becker allo sfinimento dei 5 set, prima di arrendersi al tie-break).
“A meno che io che? A Roma c’è: Benigni, Moretti, De Sica, Enzo Salvi, ce ne stanno dumila!”
Al fianco del demiurgo “sorrentinizzato” Carlo Verdone [regista di 3 episodi (mentre gli altri 7 sono affidati al direttore della fotografia Arnaldo Catinari), creatore (con Nicola Guaglianone e Roberto “Menotti” Marchionni), sceneggiatore (con Pasquale Plastino, Ciro Zecca e Luca Mastrogiovanni) e primattore] si dipana come al solito una lunga teoria femminile: dal ruolo di co-protagonista defilata di Monica Guerritore (in accurata ed empatica rappresentazione del “legalmente separato, ma non divorziato”) a quello letteralmente episodico di Paola Sambo (Erminia, la “fan terminale”), passando per le splendide Anita Caprioli, Claudia Potenza e Caterina De Angelis (esordiente d’arte celata dietro al cognome paterno: ma la stoffa c’è) e il fulcro della casa impersonificato da Maria Paiato (e quello lavorativo inscenato da Giada Benedetti). Impagabile Max Tortora che al 12’ del 2° ep. imita perfettamente Gianni Alemanno (o forse era Mimmo…). Pietro Ragusa con capigliatura eisensteiniana. Antonio Pennacchi, fra Zingaretti e Nerone. E una menzione per l’insloggiabile Antonio Bannò. Chiude il cast principale l’un po’ anonimo Filippo Contri. Infine, da segnalare i cammei di Antonello Venditti, implementatosi fotografo, Roberto D'Agostino, sgarbi-bisignani smunito, e di Massimo Ferrero, fra una bancaraotta fraudolenta, più o meno aggravata, e l'altra.
Montaggio di Giorgio Conti, Gabriele Passaretti e Pietro Morana. Musiche di Fabio Liberatori.
Una manciata di scene anche abbastanza “coraggiose”: quella dalle prostitute alla ricerca dell’ulipristal acetato (la pillola dei 5 giorni dopo qui interpretata dal palliativo PGD IloProSal) dopo essere stati rimbalzati da un farmacista professatore di mala coscienza e quella in visita alla tomba di famiglia Schiavina-Verdone al Verano, con mortuale elencazione della schiatta ivi sepolta culminante, all’improvviso, nella follia di questo…
…momento, nel mezzo dell'ep. n° 6 (che qualche sfigato mentale potrebbe intitolare "Verdone e il suo pubblico"). Graziella Savio (Latina, 1989 - Roma, 2021). Perché? Non lo so. Ma è dai tempi di Mario Schifano che il cinema italiano non regalava un tale sfasamento poetico rispetto alla Linea Generale.
In una data occasione (che non ho appuntato) mi sembra di aver riconosciuto una leggera stilettata verso Sergio Castellitto, ma posso (sicurcertamente) sbagliarmi.
Come ricorda Filippo Mazzarella in ultima pagina sul FilmTV del 02/11/‘21, anno 29 numero 34, la sempiterna questione delle luci tenute accese costantemente in tutte le stanze di ogni casa è palesemente irrisolta.
Dalla Nutella alla Lindt. Il Vecchio e il Nuovo.
La carriera di Verdone regista/scrittore/attore può essere suddivisa in tre macro-periodi, dal comico puro al pieraccionismo, passando per il malincomico: 1980-1990, la Fortuna degli Esordi (da “un Sacco Bello” a “Stasera a Casa di Alice”), 1992-1998, la Conferma della Maturità (da “Maledetto il Giorno che t’ho Incontrato” a “Gallo Cedrone”) e 2000-2021, la Fossilizzazione (da “C’era un Cinese in Coma” ad oggi), e “Vita da Carlo”, pur tentando (non solo per il cambio di medium) un approccio diverso alle tematiche di sempre, rientra perfettamente nel ventennio che ha portato a cose come “Si Vive una Volta Sola”.
Chissà perché poi il film della vita, quello d'autore, da festival, in bianco & nero, vuole solo dirigerlo e non scriverlo.
Si ride, anche parecchio. E anche questo conta, alla fine.
Salute, culo e talento!
* * ¾ (***) - 5.75
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