3 stagioni - 17 episodi vedi scheda serie
Alla ricerca della gallina dalle uova d’oro. Morto un re se ne fa un altro, più che altro, in mancanza di una discendenza diretta e inequivocabile, si apre la corsa per la successione, nella quale numerosi contendenti iscrivono il proprio nome a referto auspicando di impossessarsi dello scettro e poi mantenerlo per il periodo di tempo più prolungato possibile.
Indubbiamente, nell’universo seriale, Il trono di spade ha lasciato un vuoto invitante e delle dimensioni di una voragine, che in parte verrà prossimamente occupato - e si spera, colmato - da progetti contigui/derivanti (vedi House of the dragon). Nel frattempo, La ruota del tempo tenta, con alterne fortune, di conquistare i cuori solitari del fantasy televisivo. In attesa di nuove stagioni (la seconda è già in lista d’attesa), questo primo passo lascia parecchio a desiderare lungo tutto il suo svolgimento, ma ha il merito di aprire una breccia sul futuro che parrebbe promettere un complessivo scatto in avanti, un orizzonte decisamente più florido, traspirante e appagante.
In un mondo di fantasia, Moiraine Damodred (Rosamund Pike – Gone girl, Radioactive) è una Aes Sedai, una specie di maga, alla ricerca del futuro Drago Rinato in compagnia del suo fedele scudiero, Lan Mandragoran (Daniel Henney – X-men: Le origini - Wolverine).
Giunti in un villaggio chiamato Due Fiumi, individuano cinque potenziali candidati: Nyvaeve (Zoe Robins – The Shannara chronicles), Egwene (Madeleine Madden – Dora e la città perduta), Perryn (Marcus Rutherford – County lines), Rand (Josha Stradowski – Just friends) e Mat (Barney Harris – Billy Lynn: Un giorno da eroe).
Quando il villaggio subisce un violento attacco da parte di un esercito di creature fameliche, Moiraine recupera i cinque indiziati e intraprende un lungo e accidentato itinerario, che li condurrà alla Torre Bianca, un luogo dove i giovani potrebbero capire qualcosa di più sulla loro stessa natura.
In realtà, sarà solo una tappa iniziatica di un viaggio non pronosticabile, lungo il quale dovranno fronteggiare svariate insidie, scoprendo di possedere doti e doni insospettabili.
Forte di una produzione imponente, che può anzitempo concedersi il lusso di ragionare in prospettiva (la seconda stagione era stata programmata anticipando l’esordio su Amazon Prime), La ruota del tempo attinge dall’omonima serie di romanzi fantasy scritti da Robert Jordan per sventagliare una grande varietà di elementi portanti/ricorrenti nel genere, disseminandoli in lungo e in largo, tra pause di riflessione e ripartenze, negli otto episodi presenti.
Creata da Rafe Judkins, sceneggiatore del molesto Uncharted, dispone di un pannello di controllo composto da una compagnia in movimento insidiata/assediata dalle tenebre (Il signore degli anelli), eletti da stanare e versioni alternative del mondo (Matrix), diatribe di palazzo e parallelismi con il nostro mondo, battaglie sanguinose e prese di coscienza.
Insomma, l’armamentario è decisamente vasto e variegato, al contrario il suo utilizzo denota una sintomatica difficoltà nell’occupazione degli spazi vuoti, un’evidente incapacità di individuare, coltivare ed estendere un respiro epico, così come una più complessiva precarietà degli equilibri, con punti di cottura raggiunti solo sporadicamente, recidivi spiegoni con un miriade di nomi che entrano ed escono dalle orecchie senza lasciare traccia, un decalogo di regole che aleggiano sopra le teste dei protagonisti, molti personaggi di contorno che compaiono e spariscono alla velocità della luce.
Allo stesso tempo, gli scenari sono consistenti, per quantità e qualità, i rapporti di forza tra donne e uomini lo rendono contemporaneo e l’ultimo atto sfodera un colpo di reni dagli effetti rilevanti (soprattutto per le serie, uno slancio in chiusura può essere decisivo), una (beffarda?) carburazione a scoppio ritardato.
Infine, il cast non ha molto da aggiungere, di sicuro non sposta l’ordine dei contributi, anche perché si registra penuria di animi indomiti. La punta di diamante Rosamund Pike è tirata da una parte all’altra e non sempre baricentrica all’evoluzione, mentre i suoi giovani compagni di viaggio non lasciano il segno (in ogni caso, meglio l’emisfero femminile con Zoe Robins e Madeleine Madden). Invece, due illustri interpreti meritano una nota a parte. Infatti, seppur siano stati convocati per rivestire ruoli destinati a esaurirsi in un unico episodio, Fares Fares (Omicidio al Cairo, Kops) e Sophie Okonedo (Hotel Rwanda, Piccoli affari sporchi) offrono due immedesimazioni di considerevole efficienza, anche grazie ai due personaggi più carismatici dell’intero plotone.
Alla fine, questa prima stagione offre un rendimento inferiore alle aspettative (invero, troppo elevate), se non del tutto deficitario, quantomeno volatile. Non regge i confronti che sorgono automaticamente, non si avvale di uno storytelling arioso ed evoluto (insufficiente per chi in materia è esigente), ha rallentamenti che fiaccano chi cerca un angolo di immersione e distrazione, più volte smarrisce per strada ciò che gli ha appena dato maggiore vigore (ad esempio, vedi le orde di creature mostruose che infestano i primi due episodi per poi scomparire nel nulla e ritornare ex abrupto solo alla fine), rischiando di rimanere imbrigliata nel dimenticatoio, appesantita da un meccanismo che dà un colpo al cerchio e uno alla botte, da un dispendio di energie che produce solo risultati estemporanei.
In attesa di una seconda stagione potenzialmente più centrata, dinamica e continua, tanto vale rimandare giudizi trancianti, rimanendo comunque rivolti su valutazioni modeste.
Sfarzoso, dispersivo e sterile.
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