2 stagioni - 17 episodi vedi scheda serie
Un posto sulla Terra.
Da stemma morale a stigma etico, questo è il marchio di “the Mosquito Coast”, che cita "i Falsari" di André Gide - “Di quello che ho scritto ieri neppure una parola è vera. Rimane questo: che la realtà mi interessa come materia plastica; ed ho più considerazione per quello che potrebbe essere che per quello che è stato. Infinitamente di più. Mi chino vertiginosamente sulle possibilità di ciascuno, e piango tutto quello che è atrofizzato dal coperchio delle convenzioni.” - prima di riassemblare e riassestare le sue traiettorie.
“Pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà” (questo invece è Antonio Gramsci, anzi no) e via andare!
Sarà difficile, perché alla fine il ghiaccio arriva, col compiersi dell’eredità e la realizzazione della fearsome engine, ma - se pur sulla Costa dei Moscerini diguazziamo come otarie anche solo per una manciata scarsa di minuti - comunque non dispero riguardo all’avvento di una terza e “realmente” conclusiva stagione, ben conscio del fatto che comporterebbe un superamento della narrazione tanto del film di Peter Weir e Paul Schrader quanto del romanzo di Paul Theroux, zio del lynchano (“Mullholland Drive”) protagonista: insomma, la serie al 99,99% periodico termina qua, punto: però non con un pugno di mosche bensì di acqua transitata di fase verso lo stato solido ben stretto tra il palmo e le dita della mano.
In questo fioco spegnersi di seconda (ed ¿ultima?) stagione, a suo modo ancora combattiva, accordatisi sulla stazione su cui lasciare sintonizzata l’autoradio [le musiche sono di Antonio Pinto (Central do Brasil, Cidade de Deus, Awake): “Voi forse preferite il meglio dei Tavares?” bene, eccone un assaggio!], Allie Fox (Justin Theroux) e William "Bill" Lee (Ian Hart: "Luck", "the Terror"), in coppia forzata, avranno anche un destino più compiuto in comune. Omissis.
Assieme a loro, Melissa George (anch’ella, come Justin Theroux, in un ruolo, come dire, importante, in “Mulholland Drive”), Logan Polish (figlia e nipote d’arte, come si suol dire, qui nel ruolo che l’ha confermata e lanciata sul serio) e Gabriel Bateman (“the Fabelmans”) completano molto bene il cast principale e storico, e Natalia Cordova-Buckley, Daniel Raymont e Ariyon Bakare rimpolpano quello secondario come valide new entry.
Le regìe sono affidate a Metin Hüseyin (“City on a Hill”, “American Gods”, “Another Life”, “All Creatures Great and Small”), Stefan Schwartz (“the Americans”), Alonso Alvarez (“Kindred”) e Marisol Adler (“the Expanse”), mentre i creatori e sviluppatori Neil Cross (“Hard Sun”, “the Sister”) e Tom Bissell (suoi gli articoli e i saggi alla base di “Salt and Fire” e “the Disaster Artist”) alzano il piede dal pedale e lasciano il timone a un’eterogenea writer’s room estesa comprendente Ann Cherkis, Alyson Feltes, Ian Scott McCullough, Evan Katz, Mark V. Olsen, Will Scheffer ed altri 4 per un totale di 10, e il risultato è omogeneamente in sordina. M’a me, con tutti i limiti del caso, non dico che avvince e convince, però che continua a “piaciucchiare” sì: * * * ¼/½ - 6.75.
Certo, la Mosquito Coast spunta, magnifica, sin da subito, già alla fine dei titoli di testa del pilot della prima stagione, anche se solo per un attimo: mentre lo schermo si assottiglia sempre più, rattrappito da inurbati paesaggi “post”-industriali, sterminate coltivazioni intensive e tracciati di perenni fughe d’oltreconfine, e poi sbam!
E il viaggiatore contemporaneo? Egli è figlio della disillusione dei viaggi, della loro fine, come recita l'inizio del racconto desolato di Lévi-Strauss intitolato Tristi Tropici, uno dei capolavori moderni della letteratura di viaggio. Al turista che sperimenta i rifiuti della nostra civiltà gettati in ogni angolo fino a poco fa incontaminato del mondo, si affianca ora la figura del viaggiatore letterario. Lo sono Bruce Chatwin e Paul Theroux, viaggiatori postmoderni. Il primo è oggi il celebrato nomade de Le Vie dei Canti, vera utopia ascetica ed esempio dell'impossibilità di scrivere un romanzo che sia del tutto tradizionale sul viaggio, mentre il secondo, in due bei libri, Bazar Express e Da Costa a Costa, ci mostra invece come oggi il mondo sfili dinanzi al viaggiatore sotto la forma di uno spettacolo cinematografico visto dal vivo.
Marco Belpoliti - “Doppio Zero” - 2003 - Einaudi
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