2 stagioni - 17 episodi vedi scheda serie
“You’re America, asshole!”
Questa prima stagione (7 ep. da 45’/55’ diretti da validi registi quali Rupert Wyatt, Jeremy Podeswa, etc...) di “the Mosquito Coast”, la serie creata da Neil Cross (anche showrunner, ma non sceneggiatore unico) con Tom Bissell partendo dall’omonimo romanzo del 1981 di Paul Theroux, e già rinnovata da Fremantle e Apple per una seconda annata, è praticamente il lungo prologo, con aggiornamenti tecnologici (algoritmi e NSA) e complicanze narcos, alla trasposizione cinematografica del 1986 di Peter Weir con Harrison Ford, Helen Mirren e River Phoenix: quel che si diceva sul capitalismo 40 anni fa è applicabile anche oggi, ma del resto lo è anche ciò che si diceva ai tempi di Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau e Karl Marx.
«Domanda del giorno: “Come fai ad ottenere del ghiaccio dal fuoco?”»
Il buon, a tratti ottimo, protagonista, in un ruolo attraente nella sua respingenza, è Justin Theroux (“Mulholland Drive”, “Six Feet Under”, “Inland Empire”, “the Leftovers”, “Maniac”), nipote di Paul, affiancato dalle validissime prove di Melissa George (che sceglie “There Is a Light That Never Goes Out” da “the Queen Is Dead”, ma poi balla al ritmo di “First of the Gang to Die” da “You Are the Quarry”), Logan Polish (che balla con lei), Gabriel Bateman (che le guarda ballare), Scotty Tovar (che preferisce il Morrissey solista a quello degli Smiths e mette sul piatto il disco), Kimberly Elise, James Le Gros, Ofelia Medina e Ian Hart (il Don Konkey di “Dirt” e l’indimenticabile Lonnie di “Luck”, qui in versione male assoluto).
Adesso si vedono bene i limiti di questo posto, dell'infinito: frammenti di un discorso che finisce prendendo un aereo.
[…]
Possano questi lampi illuminare la fine. Arriverà un altro ciclone: forse ci lascerà stare.
[…]
C'era un rumore in lontananza, ma eri tu che ascoltavi gli Smiths e i Sonic Youth.
C'era un rumore in lontananza: solo tu ascoltavi i Sonic Youth in quel paesino del sud.
[Cliccare sull'immagine ↑↑↑ per aprire le danze.]
I direttori della fotografia cambiano di ep. in ep., il montaggio è di Julia Bloch (“Blue Ruin”, “Green Room”, “Hold the Dark”, “In the Radiant City”, “WoodShock”, “His House”) e le musiche di Antonio Pinto.
Oltre a quella già citata, poche e azzeccate le canzoni preesistenti, fra le quali spicca “Gold Dust Woman” di Julia Holter.
Messico, Belize, Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Panama… Chissà se incontreremo (passando così dal Destino Manifesto al Colonialismo dell'Immaginario Religioso) la nuova versione del reverendo SpellGood (che, nomen omen, predica bene e razzola male).
“You’re America, asshole!”
* * * ½/¾ - 7.25
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