1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie
Niccolò Ammaniti riapre ufficialmente la di - sco - teque!, ovvero: se l’elefante si sposta, vedi il continente Italia (a latere: “Anna” con lo scempio cementizio del Ponte sullo Stretto sarebbe stata tutta un’altra storia).
“Anna” - 6 episodi Sky, WildSide e Fremantle per un totale di 5 ore di montato ad opera di Clelio Benevento - è, evidentemente, l’espletata realizzazione palese di un covato sogno “segreto” di Niccolò Ammaniti (qui, oltre che co-sceneggiatore, con Francesca Manieri, dal suo romanzo omonimo del 2015 - in cui si citano “Donne che corrono coi Lupi” e si spiega l’origine del nome del piccolo Astor: da Piazzolla -, anche regista unico e assoluto, con la fotografia di Gian Enrico Bianchi), ovverossia quello di gettare, lanciare e scaraventare bambini e ragazzini nel vuoto: nella serie (ché invece nel “soggetto” di partenza, che non ho letto, non so) accade per tre volte: l’ultima avviene quasi fuori campo, con un flash-frame sullo sfondo, e oramai lo spettatore è, diciamo così, abituato a questa prassi, la seconda è crudele e tragica, ma la prima… beh… la prima è di uno spasso infinito (vedere per credere).
L’intervento della sospensione dell’incredulità non è (volontariamente o meno) chiamato in causa spesso, e quando si cerca d’innescarlo il più delle volte l’operazione non riesce affatto, ma le numerose e vistose improbabilità socio-comportamentali e tecniche (*) passano anche assai facilmente in secondo piano innanzi a certi momenti di genuina bravura dei giovanissimi interpreti, tutti esordienti assoluti, che, ugualmente e per contro, sono in grado, altresì e similmente, di stemperare le ovvie incespicature ed incertezze che la “freschezza” (non) attoriale si port’appresso: e la regìa, parimenti, tanto alle volte sfrutta questa genuinità, quanto tal altre vi rimane incastrata (i momenti d’imbarazzo recitativo - e di direzione degli attori, e prim’ancora di scelta delle linee di dialogo - si sprecano).
(*) Magari nel romanzo (di circa 300 pagine) è spiegato meglio (o, meglio, è, semplicemente, spiegato) il motivo per il quale è stato necessario, da parte di Anna (Giulia Dragotto) e Katia, la Picciridduna, ovvero Piccolinona, la Grande che dovrebbe essere Piccola per… poter essere, e invece grande, e comunque, è (Roberta Mattei: “Non Essere Cattivo”, “Veloce come il Vento”, “il Grande Salto”), inscenare un finto suicidio per poter finalmente provare a contrastare la perfida Angelica [Clara Tramontano, qui in una una versione aggiornata ai tempi della Nellie Oleson della Casa nella Prateria, truccata(si) - di blu e di bianco, per nascondere le petecchie pustolose della Rossa - in modo da rassomigliare a una via di mezzo fra la Jesse di “the Neon Demon” e Plinio Fernando nelle vesti di Mariangela Fantozzi, ma sua è la sequenza migliore della serie, vale a dire quella dell’iniziazione “nel blu” - sulle note di “Red Sex” di Sebastian Gainsborough in arte Vessel, già utilizzata alla grande da Park Chan-wook per il trailer di “Ahgassi / the Handmaiden”, e con le scenografie di Mauro Vanzati, i costumi di Catherine Buyse Dian e il trucco di Maurizio Nardi -, portata avanti solo con dei versi], ché con 5 ore a disposizione, un accenno, magari…
E poi, senza spoilerare il “finale”, più che mai “aperto” - in un (non) luogo così chiuso e “protetto”, in mezzo al nulla -, tanto da rendere necessaria una seconda stagione - alla quale, sinceramente, assisterei volentieri -, ma limitando a riferire a tal proposito che ci troviamo più o meno sulla stessa rotta percorsa (con risultanza inversa fra Davide e Golia) da ‘Ndrja Cambrìa quando si trova di fronte alla portaerei in un altro finale, quello dell’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo: ma questi arrivano e… infettano (il virus rimane latente negli esseri umani sino all’incirca a metà della pubertà, ma è ben presente e ha capacità di contagiare) i sopravvissuti isolatisi da tutto e tutti?
Una nota particolare di merito per Alessandro Pecorella, che interpreta Astor da ragazzino, e che forse, contestualizzando le varie età, si dimostra il migliore del gruppo (e anche una accenno per chi interpreta lo stesso personaggio, ma da bambino, Nicola Mangano, protagonista di una tipico momento “fortuito” da “buona la prima”, quando inciampa e ruzzola a terra, ma la MdP continua a riprenderlo e Viviana Mocciaro, che interpreta Anna da piccola, lo aiuta a rialzarsi: a naso, è la classica scena in cui il regista “urla sottovoce” il “Continuate a girare!” e il montatore in fase di editing gli dice “Bravo!”).
Chiudono il cast, fra i ragazzi, Giovanni Mavilla (Pietro da ragazzo), Ludovico Colnago (Pietro da bambino), un’inquietante Sara Ciocca (BiancaNeve), che, tra i piccoli attori, è forse, con Matilde Sofia Fazio (Angelica da bambina), l’unica vera “professionista” (già ne “il Miracolo”, e poi “la Dea Fortuna” e “Tutti per 1 - 1 per Tutti”), e gli "azzardi" Vincenzo Masci (Nucci) e Danilo e Dario Di Vita (i gemelli), e, fra gli adulti, Elena Lietti (la madre, anche lei già co-protagonista ne “il Miracolo”, la serie precedente creata - su soggetto originale - dall’autore di “Branchie”, “Come Dio Comanda”, “Io Non Ho Paura” e “Io e Te”), Giovanni Calcagno (il padre di Anna), Corrado Fortuna (il padre di Astor), Miriam Dalmazio (Ginevra, la sorella di Angelica), Nicola Nocella (Saverio), Chiara Muscato (la Maestra), e poi due comparsate, una per Sergio Albelli (il Papa n° 270 o giù di lì) e una, fulminante, per Tommaso Ragno (ancora “il Miracolo” e, beh, tanto altro).
Un’ulteriore nota di merito - oltre a quella per l'utilizzo delle location trinacrie, da Bagheria all'Etna, passando per tutto il continente siculo - è per le ottime le musiche, tanto quelle originali, ad opera di Rauelsson (Raul Pastor Medall), e specialmente la magnifica “Katia”, che si avvale della collaborazione vocale di Simin Tander, quanto la scelta di quelle preesistenti, a cura di Roberto “Bob” Corsi e dello stesso Ammaniti: cominciando dai titoli di testa che scorrono subacquei (come non riandare al Ricky Gervasi degli elefanti al largo) sulla voce e le note della “Settembre” di Cristina Donà, e proseguendo con Ornella Vanoni, Mia Martini, Loredana Bertè, the Alan Parsons Project e Sophie Hunger con una versione di “le Vent Nous Portera”, per giungere infine a Bishi Bhattacharya con “Dia Ti Maria”.
Niccolò Ammaniti riapre ufficialmente la di - sco - teque!, ovvero: se l’elefante si sposta, vedi il Continente (a latere: “Anna” con lo scempio cementizio del Ponte sullo Stretto sarebbe stata tutta un’altra storia). Calabria, Italia, Europa.
* * * (¼) ½
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