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Made for Love

2 stagioni - 16 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 1

  • 2021-2021
  • 8 episodi

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mck

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La recensione su Made for Love

di mck
8 stelle

Orgasm Review: *****

 

 

Made for Love” (2021), la serie in 8 episodi (diretti da Stephanie Laing e Alethea Jones con la supervisione alla regia e la produzione esecutiva di S.J. Clarkson) da 25 minuti l’uno creata per HBO Max (Warner / AT&T) da Patrick Somerville (romanziere e al lavoro prima su “the Bridge” e “the Leftovers” e poi più compiutamente su “Maniac” e la prossima “Station Eleven”) con Christina Lee (“Wet Hot American Summer”), lo scrittore Dean Bakopoulos e la stessa (consorte di quest’ultimo) Alissa Nutting, autrice dell’omonimo romanzo originale di partenza che, a naso, non promette alcunché di interessante in campo Hard-SF (siamo più dalle parti di una sf umanista e solo un poco speculativa), anche se, ovviamente, non tutti possono chiamarsi Eleanor Arnason (“Medusa”), Susanna Clarke (“Piranesi”), Jennifer Egan (“Manhattan Beach”), Nicola Griffith (“Ammonite”), Nancy Kress (“Beggars in Spain”) o Connie Willis (“Doomsday Book”), è, oltre che il down-grade di Conrad, l’app senziente “eradicatrice di conseguenze” presente in “the Girl Code”, il 10° ep. della 27sima stag. dei Simpson, l’up-grade distopico, buffo/bizzarro (ben strutturata tutta la traccia narrativa orizzontale relativa all'olfatto), sur/iper-reale, satirico e ultra-tecnologico di “Osmosis” (2019), la serie tv francese nella quale un’applicazione software, scandagliando e sondando il cervello umano, permette/promette di trovare la propria anima gemella in amore: qui, l’unione wireless di due microchip impiantati nei rispettivi cervelli dei componenti una coppia già formatasi consentirebbe la totale immedesimazione dell’uno nell’altro, ma il macchinario è ancora un prototipo, e la versione (più) complessata (rispetto al modello base) di un novello Elon Musk, pardon, volevo dire Mark Zuckerberg, che sogna il riflusso nel buen retiro di un nido/alcova in vece della Luna, di Marte e dell’Oltre l’Infinito decide di provarlo su di sé e sulla propria compagna che vive, da lui reclusa con sé nel Nucleo, un compound autosufficiente (à la “the Limits of Control”) e super high-tech nel deserto (in assonanza con la coeva Zona del Disastro di “Palm Springs” nel quale viene risucchiata l’interprete principale d’entrambe le opere, Cristin Milioti, finalmente, qui e là, in un ruolo da mattatrice: bravissima) che, come il Tardis del Doctor Who, ma grazie alla Realtà Virtuale e non al dis-piegamento delle gravitico-energetiche leggi dello spazio-tempo, appare (e non “è”) più grande all’interno che all’esterno (la “claustrofobico-agorafobica” prigione infinita del “Pascolo”), e il rischio è che una personalità/individualità (quella primaria, alla quale è stato impiantato per prima il circuito integrato miniaturizzato principale) possa assorbire/assoggettare/annichilire l’altra.

 


Nota. Il 3° ep. contiene due svarioni megagalattici: se --- * inizio mini spoiler * --- la subacquea fuga fortuita dalla piscina grazie alla mega-capacità apneica di cui si dimostra dotata e capace la protagonista --- * fine mini spoiler * --- può essere considerata, nella sua assurdità, in linea con la vena di bislacca eccentricità sui generis che caratterizza la serie, il blooper che vado a descrivere no: il microchip installatole nel cranio consente al marito (Billy Magnussen) di osservare e ascoltare tutto ciò che lei vede e sente, perciò lei può provare a parlargli rivolgendoglisi “direttamente”, ad un’unica via, ad esempio riflettendosi in uno specchio, un vetro o una finestra mentre “gli” parla: ebbene, la particolare messa in scena di questa specifica ripresa (che segue una sequenza dall’alto tasso erotico con protagonista la medesima Cristin Milioti con Agusto Aguilera) è congegnata facendo assumere come al solito alla MdP il PdV di lei che, parlandogli, si specchia nel finestrino di un’auto, mentre lui assiste a distanza, attraverso un monitor con altoparlanti, a ciò che percepisce lei, ed ecco l’errore marchiano: lui sta guardando sullo schermo ciò che lei sta osservando in quel momento, ovvero sé stessa che gli parla riflettendosi nel vetro, quando ad un certo punto si vede chiaramente il volto della donna uscire dall’inquadratura… mentre la MdP non continua a mostrare il suo PdV, bensì rimane fissa sul finestrino.

 


A parte l’ottima prova di Cristin Milioti (un corpo da Alison Brie che ospita una mente da Aubrey Plaza - e come quest’ultima, in “Legion” di Noah Hawley, emerge dal sottosuolo del deserto verso la “libertà” in una scena catartica, anche se ancora irraggiungibile per forza rigeneratrice è quella di John Goodman e William Forsythe in “Raising Arizona” di Joel & Ethan Coen e Barry Sonnenfeld -, ma pure viceversa), da segnalare sicuramente quella di - con compagna sintetica al seguito - Ray Romano (“Everybody Loves Raymond”, “Parenthood”, “Vinyl”, “the Irishman”), che pronuncia (con quella inflessione/accento/tono alla Guccini) anche una delle battute migliori “È un buon microfono, coglie il sarcasmo!”, mentre chiudono il cast le ben delineate caratterizzazioni di Noma Dumezweni, Dan Bakkedahl e Caleb Foote. Le musiche, carucce e distintive, sono di Keefus Ciancia.

 

 

Senza troppo struggimento per una eventuale (ma, dato il finale narrativamente "aperto", nel suo essere fisicamente "chiuso", necessaria) seconda stagione, se e quando arriverà vi assisterò con piacere.

 

Orgasm Review: * * * * * (cit.)
First Season Review: * * * ½ (¾)          

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