2 stagioni - 18 episodi vedi scheda serie
Esperimento seriale di grande coraggio, sia narrativo che produttivo. Ha alcune cadute di ritmo in precisi episodi di raccordo ma nel complesso è avvincente e soprattutto esplora delle location laziali che si fa fatica a credere siano rimaste oggi ancora così incontaminate, tanto da poter riecheggiare in maniera credibile addirittura l'VIII secolo.
Mi piace Matteo Rovere. Lo ritengo una delle figure più interessanti nel panorama cinematografico italiano, anche perché mi sembra sia in grado di esplorazioni multidisciplinari, nelle quali ogni volta si ritaglia ruoli diversi ma comunque decisivi.
La sfida de "Il primo Re" era già molto anomala nell'offerta filmica di questo paese, ma è evidente che Rovere non sentiva affatto esaurito quel filone narrativo e la dilatazione seriale gli offre l'opportunità di disegnare una narrazione in cui la scelta tematica, l'epoca e l'ambientazione si fondono con grande efficacia. Gli scenari di Romulus sono spesso spettacolari, ma soprattutto sono efficaci, inclusivi del pathos complessivo della narrazione. La scelta direi quasi ideologica è quella di testimoniare attraverso gli avvenimenti il fortissimo legame che unisce i protagonisti al volere degli Dèi. Tutto il racconto ruota inorno al tentativo di interpretare il volere degli Dèi, la loro benevolenza, il complesso meccanismo fideistico che dirige in maniera molto concreta le azioni terrene.
Questa interrelazione è subito chiarissima dall'inizio della serie e traccia una scrittura narrativa nella quale tutti i protagonisti compiono scelte decisive nell'intento di assecondare un fato scritto per loro stessi e per il loro popolo da Dèi imperscrutabili.
Questo tipo di scelta narrativa funziona, ma in alcuni episodi appesantisce il ritmo, lo fa più lento e contorto, perché indugia troppo in lacerazioni personali che sembrano prese di peso dalla tragedia greca. Si libera invece di questi ritardi quando i personaggi hanno preso le loro decisioni e si slanciano in azioni concrete che esprimono scelte nette e definitive.
Ancora due annotazioni. Tutta la serie è stata girata in una sorta di lingua protolatina, molto pubblicizzata nella fase di lancio della serie, ma poi nella messa in onda televisiva tutti i personaggi sono doppiati in italiano corrente. La scelta è alquanto incongruente, mi pare. O si spinge fino in fondo il pedale del coraggio e quindi si trasmette la serie con audio originale e sottotitolata, oppure tanto valeva girarla tutta e subito in italiano e trasmetterla con audio live.
Infine gli attori. Devo dire che forse tutti ricorrono ad un registro di un livello enfatico appena troppo alto, come se stessero recitando nell'anfiteatro di Taormina. Pupille dilatate, mascelle serrate. In tutta la serie credo di non aver mai registrato un sorriso. Non c'è mai cioè un momento di rilassamento dei toni e un'alternanza nell'intensità. Questa è una sicuramente una limitazione, ma credo che sia stato un registro interpretativo richiesto espressamente dal deus ex-machina della serie.
A mio parere funziona benissimo Arcangeli, che ha un'espressività comunque molto duttile, mentre De Napoli attraversa tutta la complessa evoluzione del suo personaggio - da reietto a capotribù e quasi re - con una gamma espressiva buona ma non eccellente, diciamo ancora da sgranare meglio. Il ragazzo però è molto interessante.
Su alcuni degli altri devo confessare un mio peccato personale, ovvero quello di non essere riuscito a liberarmi del tutto da influenze seriali precedenti, che per un onnivoro seriale come me sono decisive. Ho quindi rivisto - ahimé! - il sostituto procuratore Imma Tataranni e molti volti noti di Gomorra, lì dove avrei dovuto solo vedere figure ieratiche dell'VIII secolo a.C. ...
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