2 stagioni - 18 episodi vedi scheda serie
L’umanità superstite, espatriata su di un esopianeta, per sopravvivere deve regredire a uno stato anfibio e de-evolversi: sembra la cronaca odierna.
Ed ecco quel che non t’aspetti: “Rised By Wolves” dismette ogni ambiguità e, rispettando il folle finale della prima, scorsa stagione (terminavo il pezzo ad essa dedicato definendola una buona e a tratti ottima Hard-SF condita e contornata da una misticanza indigeribile d'incrostazioni misticheggianti si spera risolvibile: ecco, la risoluzione c’è stata, a colpi di Hard SF talmente Hard da sfociare quasi - parafrasando sul campo, incarnandola, la terza legge di Arthur C. Clarke che recita “Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia” - nel fantasy), parte per la tangente, e chi la ferma più: io di certo no, perché questa seconda annata convince ed avvince (accumulando materiale e - nell’accezione neutra del termine - idee in quantità e - in parte preponderante - qualità tali da “organizzare” un universo narrativo dotato di una parvenza di coerenza interna) un po’ più della precedente.
“Dei credenti hanno usato un albero biotecnologico per armificare un serpente.”
Antichi androidi cibernetici mitraici niqabbati, mega-peyote, donne-albero (baobab yggdrasillosi), frutti di carne, muridi biologicamente innescati con infezioni a orologeria, lamprediformi sauro-protee anfisbene antigravitiche, umanoide evoluzione eteroguidata di ritorno a causticorrosive pantalasse, tritoneschi mostri della laguna/oceano di acido rapitori d’infanti, (dis)apparenti riferimenti (impossibili) all’universo di (ma il ruolo di Ridley Scott questa volta non più dietro la MdP è "limitato" a quello di produttore esecutivo) Blade Runner e Alien (gli Ingegneri xenomorfizzati), eccetera (all’appello manca solo il modello ecpirotico per fare tombola) eccetera: il creatore e showrunner Aaron Guzikowski scrive 6 ep. su 8 (lasciando i restanti due, il 3° e il 4°, a Julian Meiojas e Karen Campbell, con Sunu Gonera che si occupa della direzione d’entrambi, mentre le altre regìe sono affidate ad Ernest Dickersen, il 1° e il 2°, Alex Gabassi, il 5° e il 6°, e Lukas Ettlin, il 7° e l’8°), perciò questo a suo modo apparentemente concordante accumulo parossistico di wonder-amazing-belluria in correlazione di causa-effetto è consapevolmente cercato/voluto e scientemente trovato/realizzato.
“Gli umani si possono riprogrammare altrettanto facilmente [delle I.A.], se non anche di più. Semplice reindirizzamento, condizionamento, ripetizione.”
Amanda Collin (finalmente Lamia - nomen (semi) omen: l’amante, fra le molte, di Zeus fu punita dalla di lui sposa Era, una volta scoperta la tresca, uccidendole tutta la prole tranne Scilla, mostrificandone così l’essenza rendendola una schadenfreudesca "vendicatrice" assassina seriale di pargoli d’altre madri e privandola inoltre della possibilità di addormentarsi, così il figlio di Crono le regalò perlomeno la capacità di togliersi gli occhi per poter “riposare” un poco, e, collateralmente/conseguentemente, di non uccidere durante quel lasso di tempo - ritrova le sua armi bulboculari), Abubakar Salim (il suo è il ruolo più monocorde, e perciò difficile, ma ben portato a casa), Niamh Algar (più che un’altra scena in biancheria intima, comunque lodevole, la si ricorda per un materno ringhio feroce atto a procurarsi l’aiuto necessario per salvare il figlio adottivo) e Travis Fimmel (impagabili certe espressioni di rassegnato e divertito stupore di fronte all'imponderabile reiterato) sono gli attori che compongono ancora il quartetto d'interpreti principale (e un paio fra questi per forza di cose - no spoiler - forse non li ritroveremo la prossima volta), con i giovani Winta McGrath, Felix Jamieson, Jordan Loughran e Aasiya Shah - come tutti gli altri extradiegeticamente cresciuti di un paio d'anni, m'a quell'età i cambiamenti si fanno notare maggiormente - a completare per lo più convincentemente il buon cast, accresciuto dalle valide le new entry di Morgan Santo (ottimo percorso/parabola quello del suo personaggio, caratterizzato molto bene e culminato in - come ricorda Mother a Campion - una dismissione), Selina Jones e Jennifer Saayeng). Musiche di Ben Frost e Marc Streitenfeld (con la voce di Mariam Wallentin sul Main Theme / Opening Titles). Location: Sud Africa (dintorni di Città del Capo).
“So che non sei un dio. Sei un segnale mandato da qualche alieno di chissà dove.”
L’umanità superstite, espatriata su di un esopianeta, per sopravvivere deve regredire a uno stato anfibio e de-evolversi: sembra la cronaca odierna.
* * * ½-¾
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