1 stagioni - 7 episodi vedi scheda serie
Pure B(rilliant).
“It's not me, it's my OCD.”
(Difficile tradurre in italiano la “tag-line” di serie rispettando la “rima”: “Toc-toc, non sono io, è il mio DOC”, è una possibilità con licenza “poetica” che ho inventato ora in due secondi mentre scrivevo questa frase che state leggendo.)
Marnie (Charly Clive), la ventiquattrenne protagonista di “Pure”, serie - la cui prima stagione è composta da 6 episodi di una mezz’ora l’uno - creata e scritta da Kirstie Swain [le regìe sono, per 3 episodi consequenziali a testa, di Aneil Karia (“Surge”) e Alicia MacDonald] per Channel 4 - che non l’ha rinnovata…
-{non vi sono cliffhanger esagerati, ma si percepisce l’assenza di uno sfogo narrativo verso ulteriori possibilità di racconto [gli eventi si susseguono secondo uno schema bellamente prevedibile nel suo insieme (ad esempio il tradimento dell’amica, ovvero il coming-out bruciato dall’outing), ma costruito con intelligenza capace di stupire e di mantenere costantemente alto il livello d’interesse] costruite, espresse ed intavolate: praticamente tutta la parte con-seguente al “Dovresti scriverci un articolo!”}-
…per una seconda annata (e chissà se Netflix, Amazon o altri vorranno e potranno mettere una foglia di fico su questa vergogna) - basandosi sul carattere e l’esperienza reali di Rose Cartwright Bretécher, l’autrice del “memoire” alla base della sceneggiatura, è affetta da una tipologia di disturbo ossessivo-compulsivo legata alla sfera sessuale denominata “Pure O” (dove la “o” maiuscola sta per “ossessioni”: ossessioni pure, sfrenate, non elaborate e “rimesse a posto” nel magazzino senza fondo del “non si fa”, capacità alimentata ed aumentata dalla civilizzazione, ma che persino l’istinto animale è in grado di incanalare) che le scatena, alimentandola, un’oppressione ansiogena (e viceversa) dovuta al fatto che, in una specie di Settimo Senso, vede la gente (amici, colleghi, parenti, sconosciuti) coitante.
Oltre alla bravissima Charly Clive [semi-esordiente cinematografica e attrice teatrale che sull’assito del palcoscenico ha portato la propria esperienza personale avuta con una gravissima malattia (un tumore al cervello che ha chiamato "Britney", che a sua volta donerà il nome allo spettacolo umoristico a due corpi/voci messo e portato in scena con l'amica Ellen Robertson), un po’ come Tig Notaro con “One Mississippi”] l’ottimo ed eterogeneo cast comprende Joe Cole (“Peaky Blinders”, “Green Room”, “WoodShock”), Niamh Algar (“Raised by Wolves”), Anthony Welsh, Kiran Sonia Sawar, Olive Gray, Eleanor Fanyinka, Jing Lusi, Doon Mackichan…
Le belle musiche sono di Julia Holter (“Never Rarely Sometimes Always”).
"Non c'è niente di sbagliato in me." L'inconsapevole doppia negazione nasconde/rivela una piccola verità, ma al realtà è che al posto di "nulla" ci potrebbe stare anche un "alcunché", e quella sarebbe comunque la realtà.
Curare l’invasione mentale di costanti e ininterrotte fantasie pansessuali intrusive senza reprimerle e neutralizzarle con contro-compulsioni psico-somatiche esorcizzanti, ma affrontandole - lasciandosene trasportare dal flusso - direttamente… col sesso, con una sua messa in abisso, senza diventarne dipendente, e con un auto-sguardo in macchina/specchio negli occhi degli altri (Exposure and Response Prevention - ERP).
“I can lose a day thinking about milking my mum, fingering a horse or getting teabagged by my dentist.”
Capire e comprendere di non essere una “shit person” [o un(a) “FleaBag”] e riuscire a contestualizzare un fremito ai capezzoli: “It’s a trigger, not a turn on.” (“È un innesco, non un’accensione.”)
“It’s not me, it’s my OCD.” (Which is part of me.)
Pure B(rilliant).
* * * * (¼) - 8.25
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta