1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie
Una divergente distorsione lungo la (nostra?) linea spazio-temporale principale.
• DIVIDE ET IMPERA, I: i Figli contro i Genitori, i Fratelli contro i Fratelli, gli Amici contro gli Amici, i Vicini contro i Vicini.
Eccolo, il piccolo Philip - e “the Plot Against America”, del 2004, può essere considerato come la terza parte dell’autobiografia (gli altri due capitoli sono “the Facts”, del 1988, e “Patrimony”, del 1991) che Roth “non” ha “mai” scritto -, interpretato dal bravissimo Azhy Robertson, che, alle prese con sottovesti e reggiseni, passa dalle prime esperienze con l’altro sesso all’incamminarsi sulla strada per diventare “adulto” rispondendo alla domanda della madre (una mo-nu-men-ta-le Zoe Kazan: una scena, per tutte - e sono molte quelle rese formidabili anche grazie anche alla sua performance -, rimane indelebile: in visita alla madre (Eleanor Reissa), si accorge che la demenza senile sta facendo passi da gigante nell’aggressione al cervello della donna: la figlia pone un gomito sul tavolo e tenendo il braccio alzato mette il mento sul palmo della mano a coppa e le dita addossate alla guancia a titillar lo zigomo incorniciandos’il viso: l’altra mano la porge alla genitrice, che l’afferra riconoscendola, di nuovo), che gli ha appena chiesto se, magari, siccome adesso il letto che era del fratello maggiore, Sandy (Caleb Malis), il quale ora dorme nella stanza del cucito, è occupato dal cugino Alvin (Anthony Boyle), tornato monco dalla guerra (si era arruolato espatriando in Canada: “Sei qui per lottare per il Re e il Paese?” - “Sono qui per uccidere nazisti!”), vuole forse provare lui a dormire da solo, lasciando Alvin e Sandy a condividersi la camera fraterna, con la frase: “It's my bed. My room. I'll be fine.”
Una nota ulteriore, necessaria e doverosa sulle dinamiche famigliari: il padre (Morgan Spector: all’apparenza il punto debole del cast, in realtà, col tempo, una componente essenziale del lavoro di casting: ottima scelta) che, litigando duramente col figlio maggiore, simpatizzante della figura eroica di Lindbergh, e sospendente il giudizio sulle sue idee, azioni e ripercussioni politiche, non gli molla lo schiaffone che si sarebbe meritato, e se ne va. Beh, di lì a qualche secondo, ci penserà la madre, con un manrovescio ad arco semicircolare completo (0°: partenza; 45°: incontro del dorso della mano con la guancia del figlio; 180°: fine corsa per inerzia), a ristabilire l’equilibrio della giustizia domestica: è un momento tanto retorico e prevedibile quanto potentemente struggente. E ancora, il padre, che in quest’occasione si trattiene dal mollare un altro manrovescio, ma al figlio minore (non vorrei però che questa elencazione - che in realtà è un’aggregazione di momenti rarissimi - facesse pensare che i genitori Levin siano maneschi coi figli: tutto il contrario, invece) che, dopo essere stato in giro tutto il giorno da solo per la Grande Città prendendo l’autobus per andare prima dalla zia Evelyn (un’ottima Winona Wyder che winonarydereggia), la di lì appresso moglie del rabbino Bengelsdorf, un mastodontico John Turturro impegnato a scalare le rivoltanti vette dell’opportunismo (gli fa eco, in minore, lo zio di Philip, il fratello del padre: ed è sempre un piacere rivedere David Krumholtz), cercando di convincerla a non far trasferire la famiglia Levin in Kentucky per via del programma di dislocazione degli ebrei dalla costa a tutto il Big Country [quello che ben presto, nel giro di pochissimi mesi, si trasformerà in un vero e proprio pogrom ricollocante organizzato dalla macchina democratica (pardon: repubblicana) e mascherato da assimilazione a fin di bene], e finendo persino, in ultimo, col compiere una delazione nei confronti del suo vicino di casa gracilino e introverso che tutti vogliono credere sia il suo migliore amico per indirizzarlo e spingerlo ad esserlo sul serio (ed è questo il Peccato Originale su cui ruotano, da lì in poi e a ritroso, tanto il romanzo quanto la mini-serie: colpa, rimorso, rimpianto, espiazione: l’Umano Male al Potere che spinge gli Innocenti a diventare per un tratto della loro vita – e ad esserne marchiati per sempre nell’anima – agenti propagatori dell’Umano Male Quotidiano), e poi al cinema a gustarsi un bel cinegiornale tra le ennesime avventure di Lindberg e la (non) avanzata delle armate naziste sul fronte russo orientale (il Generale Inverno, e poi Leningrado), perché sarà lo stesso figlioletto a cercarla, quella mano paterna, per stringerla ed esserne accompagnato verso casa: poeticamente al contempo straziante e riconciliante.
• DIVIDE ET IMPERA, II: il Popolo contro la sua Cultura, la sua Scienza, la sua Storia.
È vero che in qualche modo c’è sempre musica nell’aria, ma in questo caso David Simon ed Ed Burns alla sceneggiatura e Minkie Spiro (“Skins”, “Downton Abbey”, “One Mississippi”, “Kidding”, “Better Call Saul”, “Barry”, “the Deuce”, “Pieces of Her”) alla regìa (ep. 1-3) non ricorrono all’espediente più fiacco, non utilizzano il dispositivo più usurato, ovvero non inseriscono nemmeno e nemmanco per sbaglio una sola nota di commento per pianoforte, violino od arpa che sia, non una sola facile corda viene battuta, sfregata o pizzicata, non un solo disarmonico fraseggio disturbante accompagna il lungo, emozionante ed importantissimo blocco narrativo che racconta della gita a Washington (nota a margine: in quel mentre, raggiungendo il giro di boa della mini-serie, mi scatta un flashback d’allucinante potenza a 15 anni fa, quando lessi il magnifico romanzo di partenza di Philip Roth: Mr. Taylor!, from Indiana: ottima la scelta dell’attore, Michael Cerveris, ed eccellente, meravigliosa e commovente è tutta la costruzione dell’unità di tempo e luogo con la famiglia Levin in visita alla capitale e la comparsa, presentazione e svolgimento del ruolo della loro autoassegnatasi guida turistica che, da ambigua, si trasforma pian piano in un ottimo compagno di viaggio ed avventura e, all’occorrenza, salvatore: scrittura, interpretazione, regìa e montaggio sono da capolavoro eastwoodiano, ma del resto stiamo parlando del creatore di “the Wire”, “Treme” e “the Deuce”), ed in particolare durante la sequenza al National Mall e nello specifico lungo le scene all’interno del tempio dorico del Lincoln Memorial, di fronte alla statua del XVI presidente degli Stati Uniti d’America e alla trascrizione marmorea del Discorso di Gettysburgh, durante le quali s’odono solo, solamente e soltanto i rumori ambientali della città che vive sul far della sera e il principiar della notte, la gente che passeggia accanto alle sculture ed all’effigi, agli edifici e ai monumenti illuminati dalle elettriche lampade a incandescenza all’alba di quegli (e)stran(e)i Anni Quaranta appartenenti ad un’altra Linea S-T: ed allora sia lode a loro e sempiterna fama gli sia data, ché Philip Roth, accreditato come produttore esecutivo (sarebbe morto mentre la serie vedeva le prime luci di sceneggiatura definitiva e senza poter ascoltare neppure un singolo rintoccar di motore-ciak-azione), avrebbe approvato assistendo alla trasposizione cinematografica del suo romanzo scritto nel 2004 (George W. Bush, Jr.), ambientato nel triennio 1940-1942 (Franklin Delano Roosevelt, 1882-1945 + Walter Winchell, 1897-1972 + Harry S. Truman, 1884-1972 vs. Charles A. Lyndberg, 1902-1974 + Burton K. Wheeler, 1882-1975 + Henry Ford, 1863-1947: la serie si ferma qualche mese prima rispetto al romanzo, interrompendosi durante i primi spogli elettorali delle presidenziali, mentre l’attacco a Pearl Harbor è ancora di là da venire, spostato dalla fine del ‘41 all’inizio del ‘43) e traslato al cinema nel 2019-2020 (Donald Trump): sì, la realtà supera sempre la fantasia.
“Beh, se il Kentucky è qualcosa di simile a Washington DC, probabilmente incontrerai delle pessime persone. Ma se assomiglia all’Indiana... allora potresti trovare della brava gente, come Mr. Taylor, qui.”
• DIVIDE ET IMPERA, III: Assimilazione, Diluizione, Sparizione di una Parte del Popolo.
Fuochi nella notte del Kentucky. Regìa (ep. 4-6) di Thomas Schlamme (“Miss FireCracker”, “E.R.”, “West Wing”, “Studio 60 on the SunSet Strip”, “Pan Am”, “Manhattan”, “House of Cards”, “the Americans”). C’è un tizio alto e grosso del KKK che attraversa la strada, lentamente, come uno zombie, essendone il padrone.
Su quella stessa strada, a pochi passi di fronte a lui, c’è un’automobile ferma con tre persone a bordo, un adulto, un ragazzo ed un bambino, in attesa dell’implicito lasciapassare.
Il tizio vestito con un tendaggio e un copricapo a punta atto a nascondere le evidenti corna fa un passo, spingendo in avanti il grasso ventre. Si ferma. Fa un altro passo. Arranca imperioso. Ha tutto il tempo del mondo, e la piena intenzione di dettarne lo scorrere.
Anche l’uomo alla guida dell’automobile, di conseguenza, attende. E nell’attesa, compie un gesto. Da sotto il suo sedile di guidatore ha appena preso una pistola, lentamente, senza dare nell’occhio. Lui non la voleva portare, per quel viaggio. Ma il suo nuovo vicino di casa italo-americano ha insistito, perentorio. E così, eccola lì, accanto a lui sul sedile, armata col cane alzato e un proiettile nel tamburo in asse con la canna. Sul sedile del passeggero c’è il figlio dell’uomo alla guida. Sul sedile posteriore c’è il figlio degli ex-vicini di casa traslati dal New Jersey allo sprofondo americano tra gli Appalachi e gli Ozark da cui l’uomo alla guida dell’auto ancora ferma al centro della strada in attesa che lo zombie faccia un altro passo verso il marciapiede mentre un edificio lì a fianco è stato dato alle fiamme e ancora brucia e le fiamme ardono alte (era la casa di qualche negro, ebreo, italiano, messicano, giapponese. Ah già, no: in questa linea spazio-temporale i giap/musigialli sono amici degli amici) è andato a recuperare il piccolo vicino di casa rimasto fresco orfano d’entrambi i genitori in successione, del padre per colpa di esseri microscopici insediatisi nei polmoni e della madre per esseri macroscopici insediatisi al Campidoglio e alla Casa Bianca (con la complicità dello stesso, come già esposto sopra, giovane Philip, e della zia Evelyn che ha completamente frainteso la situazione).
Il grosso tizio ha quasi raggiunto il marciapiede, oramai. L’automobile, in fondo, non era poi così tanto o del tutto al centro della sua attenzione. L’ha riconosciuta come straniera, ma voleva solo marcare il territorio.
Oppure, forse l’uomo alla guida dell’auto gli è sembrato risoluto, e per quella notte aveva già arse vive delle persone in numero sufficiente e infine ha deciso che non valeva la pena dare ulteriore sfogo ai propri istinti devianti. E chissà, magari se l’uomo alla guida dell’auto non avesse avuto con sé la pistola, quella notte, avrebbe pertanto avuto un’espressione sul viso più circospetta, titubante, arrendevole o, al contrario, in compenso stranamente amichevole, e il grassone cornuto vestito con un tendaggio per mascherare la propria omosessualità latente (Hm? Che c’è? “Grassone” va bene e “omosessuale” no?) avrebbe deciso che eventualmente sì, valeva la pena appendere per il collo qualcun altro, quella sera.
Nei titoli di testa di “the Plot Agains America” compare una breve sequenza di frame appartenenti a cinegiornali dell’epoca, fra le molte di repertorio (politica, razza, guerra, religione), contenente il logo NRA: non è la National Rifle Association, ma la rooseveltiana National Recovery Administration, un’agenzia presidenzial-governativa nata in seno al New Deal che, stilando un codice di pratiche eque ed etiche da far applicare durante le trattative fra industria e manodopera, era atta a mettere in essere dei salari minimi garantiti, un tetto massimo di ore lavorative settimanali, un limite minimo al prezzo di vendita al ribasso dei prodotti manufatturieri e, per contro, un calmieramento delle tariffe relative alle merci ulteriormente lavorate (con la contropartita - individuata dal senno di poi - di favorire i monopoli). Detto ciò, ecco David Simon che la tocca piano: “Fuck you [Trump; NdR] and the NRA cash in which you and your political party wallow.”
• SCIENTIA POTENTIA EST (SED PARVA), I: Storia, Geografia e Azione/Cronaca Politica.
E a proposito di FDR e NRA, di Hitler e di Mussolini, di catena di montaggio fordiana e di Arbeit Macht Frei, di ebrei ed italiani, di elezioni e di anticonvenzionalmente gravosi accenti acuti einaudiani…
- Tu prendi la mira, - spiegò a mio padre il signor Cucuzza, usando l'indice e il pollice per la sua dimostrazione, - e spari. Prendi la mira e spari, tutto qui.
- Non mi serve, - disse mio padre.
- Ma se vengono, - disse il signor Cucuzza, - come ti difendi?
- Cucuzza, io sono nato nella città di Newark nell'anno millenovecento e uno, - gli disse mio padre. - Per tutta la vita ho pagato l'affitto in tempo, ho pagato le tasse in tempo e in tempo ho pagato le mie fatture. Non ho mai rubato a un datore di lavoro neanche dieci cent. Non ho mai cercato di imbrogliare il governo degli Stati Uniti. Io credo in questo paese. Amo questo paese.
- Anch'io, - disse il nostro massiccio nuovo vicino del piano di sotto, il cui cinturone nero avrebbe potuto reggere una fila di teste rimpicciolite, dato il fascino che continuava a esercitare su di me. - Io sono arrivato che avevo dieci anni. Il paese migliore di tutti. Niente Mussolini, qui.
- Sono lieto che tu la pensi cosí, Cucuzza. È una tragedia per l'Italia, è una tragedia umana per la gente come te.
- Mussolini, Hitler... Mi fanno vomitare.
- Sai qual è la mia passione, Cucuzza? Il giorno delle elezioni, - gli disse mio padre. - Io amo votare. Da quando ero abbastanza grande, non ho perso un'elezione. Nel 1924 ho votato contro Coolidge e per Davis, e ha vinto Coolidge. E sappiamo tutti cos'ha fatto Coolidge per i poveri di questo paese. Nel 1928 ho votato contro Hoover e per Smith, e ha vinto Hoover. E sappiamo cos'ha fatto lui per i poveri di questo paese. Nel 1932 ho votato contro Hoover per la seconda volta e per Roosevelt per la prima volta, e grazie a Dio Roosevelt ha vinto, e ha rimesso l'America in piedi. Ha tirato questo paese fuori dalla Depressione e ha dato alla gente quello che aveva promesso: un nuovo patto. Nel 1936 ho votato contro Landon e per Roosevelt, e Roosevelt ha vinto ancora: due stati, il Maine e il Vermont, ecco gli unici posti dove Landon riesce a vincere. Non riesce ad assicurarsi nemmeno il Kansas. Roosevelt stravince in tutto il paese col maggior numero di voti mai ottenuti alle elezioni, e ancora una volta mantiene ogni promessa fatta ai lavoratori in quella campagna. E allora cosa fanno gli elettori nel millenovecento e quaranta? Al suo posto eleggono un fascista. Non un semplice idiota come Coolidge, non un semplice allocco come Hoover, ma un fascista patentato con tanto di medaglia che lo prova. Eleggono un fascista e un demagogo fascista, Wheeler, come suo compare, e nel gabinetto ci mettono anche Ford, che non è soltanto un antisemita come Hitler ma uno schiavista che ha trasformato il lavoratore in una macchina. E cosí stasera tu vieni da me, Cucuzza, a casa mia, e mi offri una pistola. In America nell'anno millenovecento e quarantadue, un vicino nuovo di zecca, un uomo che ancora non conosco, deve venire qui a offrirmi una pistola perché io possa proteggere la mia famiglia dalla teppa antisemita del signor Lindbergh. Be', non credere che io non ti sia grato, Cucuzza. Non dimenticherò mai che ti sei preoccupato per noi. Ma io sono un cittadino degli Stati Uniti d'America, e cosí mia moglie, e cosí i miei figli, e cosí... - disse, con la voce che tremava, - e cosí era Walter Winchell...
Ma ora, tutt'a un tratto, c'è un bollettino della radio su Walter Winchell. - Ssss! - dice mio padre. - Ssss! - come se non fosse stato lui, l'oratore principale in cucina. Ascoltiamo tutti - persino Joey sembra ascoltare - come gli uccelli formano uno stormo per migrare e i pesci nuotano in un banco.
La salma di Walter Winchell, trucidato quel giorno durante una manifestazione politica a Louisville, nel Kentucky, da un presunto assassino del Partito nazista americano che agiva in collaborazione col Ku Klux Klan, sarà portata durante la notte in treno da Louisville alla Pennsylvania Station di New York City. Là, per ordine del sindaco Fiorello La Guardia e sotto la protezione della polizia di New York City la salma sarà esposta per tutta la mattina nella camera ardente del salone della stazione ferroviaria. Secondo la tradizione ebraica, un servizio funebre si terrà lo stesso giorno alle due pomeridiane nel tempio Emanu-El, la piú grande sinagoga di New York. Un sistema di altoparlanti trasmetterà la cerimonia all'esterno del tempio a una folla di dolenti in Fifth Avenue, il cui numero dovrebbe ascendere a decine di migliaia. Insieme al sindaco La Guardia, gli oratori comprenderanno il senatore democratico James Mead, il governatore ebreo di New York Herbert Lehman e l'ex presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt.
- Finalmente! - esclama mio padre. - È tornato! FDR è tornato!
- Ne abbiamo bisogno un mucchio, - dice il signor Cucuzza.
- Ragazzi, - chiede nostro padre, - capite cosa sta succedendo? - e ci butta le braccia al collo, a Sandy e a me. - È l'inizio della fine del fascismo in America! Niente Mussolini qui, Cucuzza... Basta con i Mussolini, qui!
Philip Roth - “the Plot Against America” - 2004
[Traduzione di Vincenzo Mantovani - Einaudi (SuperCoralli) - 2005]
• SCIENTIA POTENTIA EST (SED PARVA), II: Storia e Cultura (tecnica ed artistica).
E questa è l’ucronia distopica de “il Complotto Contro l'America” di Philip Roth -[in cui Henry Ford (descritto dal grande scrittore americano per quello che era - un pacifista razzista con una spiccata propensione antisemita e un datore di lavoro mitragliatore di folle in sciopero -, con l'aggiunta di un'aura teneramente folle da patrono di cause perse: l'idea, realmente messa in pratica nella nostra Linea S-T, di comprare, nel 1915, all’inizio della Prima Guerra Mondiale, una grande nave passeggeri e di mandarla in missione in Europa a fomentare dissuasione dall'interventismo propagandando la non entrata degli U.S.A. nella coalizione dei Poteri Alleati schierata contro i Poteri Centrali e a impedire così alle truppe americane d’impegnarsi a perder vite nella guerra di trincea sui fronti estesi del cuore dell’Europa; e a tal proposito si consideri anche “Three Farmers on Their Way to a Dance”, il romanzo d’esordio del 1985 di Richard Powers, che con l’opera seconda di 4 anni dopo, “Prisoner’s Dilemma” affronterà, altrettanto “collateralmente” (oltre alla questione nippo-americana), un’altra figura anti-interventista e “collusa” col nazismo, quella di Walt Disney) finisce per essere nominato Primo Ministro dal Presidente... - ed è qui che le due linee spazio-temporali divergono, dalle elezioni presidenziali statunitensi del 1940, vinte nel nostro universo da Franklin Delano Roosevelt, al suo terzo mandato (di quattro! Ah, cosa può la guerra!), e in quello immaginato da Roth da - ...Charles Lindbergh (minuscolo priapismo involontario ed eiaculazione precoce protratta per William Randolph Hearst / Charles Foster Kane, J. Edgar Hoover, Howard Hughes, Adolf Hitler, Benito Mussolini, Hiroito, Francisco Franco...), promuovendo ancora, a distanza di 30 anni, la “neutralità” (ma se non sei contro i nazisti, allora sei nazista, e punto) e l’isolazionismo durante la Seconda Guerra Mondiale: America First, ché sì, è un libro di ieri - 2004, Bush Jr - che parla di oggi, ora, adesso: Make America Great Again, slogan idiota che contiene l'affermazione: l'America non lo è più, grande... se mai lo è mai stata, in quel senso, come ci ricorda il Grande Folle in Missione Civilizzatrice, Will McAvoy]- messa in scena da David Simon & Ed Burns con la solita grazia violenta di furibonda compostezza che alla lunga ti prende e non ti molla, più: la tensione è continua e crescente, i due registi (e tutto il comparto tecnico ed artistico) mettono in scena gli script dei due (con l’aggiunta della collaborazione una tantum di Reena Rexrode al giro di boa) sceneggiatori con proporzionata maestria e l’affiatato gruppo d’attori che ad ogni assolo, duetto e triello alzano l’asticella delle reciproche capacità.
• SCIENTIA POTENTIA EST (SED PARVA), III: Storia e Scienza.
Dal Libro dei Proverbi, passando per Francis Bacon e Thomas Hobbes, a Franklin D. Roosevelt e il cespuglietto della felicità Vannevar Bush, il suo consigliere scientifico (ovvero: non tutti i Bush vengono per nuocere).
“Nuove frontiere della mente si aprono davanti a noi, e se le supereremo con lo stesso slancio, la stessa visione e la stessa audacia che ci hanno accompagnato in questa guerra, potremo ottenere migliori e più feconde condizioni lavorative, e migliori e più feconde condizioni di vita.”
Franklin Delano Roosevelt (Novembre 1944)
“Caro Presidente, è iniziata la sfida per il futuro. Dobbiamo decidere il ruolo che avrà il nostro paese nel nuovo ordine mondiale. Se vogliamo che sia di primo piano, come ci compete, dobbiamo puntare sulla scienza, che è la leva per lo sviluppo economico, oltre che per la sicurezza sanitaria e militare delle nazioni. Noi non abbiamo un programma nazionale di sviluppo scientifico. Nel nostro paese la scienza è rimasta dietro le quinte, mentre andrebbe portata al centro dell’attenzione, perché ad essa si legano le speranze per il futuro. Non possiamo attenderci che questa lacuna venga colmata dall’industria privata. L’industria si occupa di altro. L’impulso alla ricerca può venire solo dal Governo. E’ il Governo che deve investire molto di più e molto meglio se vogliamo vincere la sfida del futuro.”
Vannevar Bush (Luglio 1945)
Citazioni tratte da: Vannevar Bush - “Scienza: la Frontiera Infinita (Manifesto per la Rinascita di una Nazione)” - 1945 [Bollati Boringhieri, 2013 (Le Scienze, n. 621, Maggio 2020)]
Oggi. Anthony Fauci in versione Bomba Intelligente: “Se sarà convocato alla Casa Bianca, ci andrà prendendo tutte le precauzioni possibili.”
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