2 stagioni - 12 episodi vedi scheda serie
"The West Is the Best", diceva quello, coso... ma sì, quello dei cosi... che ha fatto quella cosa... Coso! (Ma pure la Bulgaria che ci ha fatto dono del Pippero e di un vasto bunker sotterraneo dotato di... Porte in attesa della... Fine non è mica poi così male, dai.)
Dev’essere andata più o meno così: un pomeriggio, durante il dormiveglia d’una pennichella postprandiale, Ciccioloffio Bimbommerda, neoassunto alla divisione Benelux di Netflix perché raccomandato dalla zia Pucciona Gastropacchia – prototipo per tutte le Karen (e le ultra-Karen) e gli Ottusangoli che impestano pur’anche anzichennò la serie stessa qui trattata –, ha letto, smanettando su Amazon (eh-eh) Kindle Store Unlimited, sommerso dai contenuti spam-spazzatura Made in A.I., durante una delle rare sessioni web che ha effettuato senza smanettarsi, aridaje, l’escrescenza inutilizzata che si ritrova a portare in giro tra l’ombelico e il perineo, il primo paio di pagine di “Starosc Aksolotla” (“the Old Axolotl”, “il Vecchio/Venerando/Antico/Ancestrale Axolotl”), romanzo digital-elettronico dello scrittore polacco di fantascienza, in vag’odor di Stanislaw Lem [e non avendo letto pressoché alcunché di suo – anche se c’è nell’aria l’intenzione di affrontare i tre racconti della seconda metà degli anni ‘90 del XX secolo raccolti in volume un decennio fa da Voland nella collana Sírin sotto al titolo onnicomprensivo di “la Cattedrale” e comprendente, oltre al testo omonimo, “Katedra”, anche “In Partibus Infidelium” (“Nelle Terre dei Miscredenti”) e “Szkola” (“Scuola”) – non so se l’esclamazione “Je piacerebbe!” possa ritenersi pertinente ed appropriata, ma a naso direi proprio di no, perché, sempre a fiuto, quello in questione mi par’esser un autore più che valido, anche se non al pari del Maestro suo connazionale], Jacek Dukaj, che per le restanti 250 pagine metamediali ed ipertestuali di “speculative post-apocalyptic cyberpunk” (in buona sostanza è una storia di intelligenze artificiali robotiche autonome e indipendenti e mecha comandati dalle coscienze umane copiate/trasferite in essi – e niente di tutto questo si ritrova in “Into the Night”, nulla – vagolanti per l’orbe terracqueo dopo l’evento solare di distruzione di massa che ha spazzato via la vita biologica dal pianeta Terra, grembo, culla, parco giochi e tomba dell’umanità, cuocendone al microonde ogni traccia di DNA) c’entra con la serie in questione come il ministro Gennaro “Genny ‘a Bisogna Vado Pure Oltre il Risvolto della Quarta di Copertina” Sangiuliano c’azzecca col Club del Libro di Orninuovi Vecchia o con una Facoltà di Lettere e Filosofia a Caso e, dopo essere ricaduto tra le spiraliformi braccia di Morfeo, risvegliandosi s’è ritrovato ‘sta grande idea in testa che poi il belga Jason George (produttore e sceneggiatore di medio livello - the Blacklist, Narcos, the Gift - e qui al suo primo e vero one man show), scrivendo tutti i copioni da sé (mentre le regìe sono affidate a Inti Calfat & Dirk Verheye, Nabil Ben Yadir e Camille Delamarre) ha sviluppato fin’ora lungo due stagioni (rilasciate rispettivamente nella primavera del 2020 e nell’autunno del 2021) compost’entrambe da 6 episodi di poco più di mezz’ora l’uno, per un totale di 6 ore di montato: e se il passo da tenere è questo ce ne vorranno almeno altre 75/100, di stagioni, non di ore, per portare a termine l’impresa di trasporre “fedelmente” l’impianto del libro: di certo c’è che il cliffhanger finale spinge davvero, contro ogni non solo previsione, ma proprio ogni logica terrena, a tuffarsi in “Yakamoz S-245” (aka “Into the Deep”), il sidequel & spin-off turco, e se ogni paese europeo o del Paleartico Occidentale, dall’Islanda al Kazakistan, dalla Spagna ad Israele, s’accollerà un paio d’annate ciascuno, il gioco sarà “presto” fatto.
Va beh, mo’ però non pazziamo, suvvia, e per ora, dopo il Belgio, la Bulgaria e la Norvegia, dedichiamoci alla bizantin-ottomana spedizione scientifico-naturalistica turca imbarcata s’un sommergibile, e quindi protetta con decine e centinaia di metri d’H2O dagli effetti distruttivi del Sole, che solca le acque internazionali, ché, salutate per sempre - Bye-Bye! - le fasce di Van Allen {la cui scomparsa, di per sé, provocherebbe uno ‘sti cazzi, ma è la ragione per le quali sono state anch’esse spazzate via ad importare, ovvero il fatto che la forza di Lorentz esercitata dal campo magnetico terrestre non è più sufficiente a deviare le particelle cariche [plasma di elettroni e - di conseguenza e viceversa - ioni (atomi) positivi (cationi) ad alta energia] del vento solare (gas ionizzato), e il pianeta rosola su sé stesso lungo l’eclittica}, ecco, adesso si può cominciare.
Il “bello” di “Into the Night” è, da una parte, il fatto che i flashback “lostiani” (aka sfiancanti) sono confinati ai pochissimi minuti dei prologhi d’ogni episodio e, dall’altra, è costituito dall’intimità crepuscolare del focolare ch’è il set raccolto - à la “the Langoliers”, ad esempio - quasi in un unico ambiente, e che tale rimane per tutta la durata della 1ª stag., per poi “aprirsi” al bunker sotterraneo della 2ª, e per poi tornare, con la “3ª”, al set chiuso, passando da una fusoliera a un batiscafo. Il brutto? La scrittura, quasi tutta, la regìa e la recitazione, in troppa larga parte – anche se specialmente Pauline Etienne (“la Religieuse” di Nicloux, “Eden” di Hansen-Løve e “Sage Femme”di Provost) e Mehmet Kurtulus, e poi Jan Bijvoet (“El Abrazo de la Serpiente” di Guerra), Ksawery Szlenkier e Nabil Mallat, seguìti da Stefano Cassetti (“Roberto Succo” di Kahn), Vincent Londez e Laurent Capelluto, la buona volontà ce la mettono, mentre il discorso si fa più difficile per l’incolpevole Babetida Sadjo e in particolar modo per un’ancor’acerba Alba Gaïa Bellugi (tutti comunque penalizzati, per l’appunto, e loro in particolare, dalla caratterizzazione in fase di stesura degli script), per tacer poi di quasi tutto il resto degl’interpreti dei personaggi secondari –, e financo la fotografia, il montaggio e le musiche, veleggianti a medie quote di crociera, ma soprattutto, insomma: la realizzazione in quanto tale, la somma che (non) fa il totale.
* * ¼/½ - 4.75
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