3 stagioni - 13 episodi vedi scheda serie
Le porte del Regno stanno per riaprirsi. A dirla tutta stanno per riaprirsi da un pezzo, dal 1994, la tiritera iniziale (bellissima) sui lavandai che immergono le vesti nella palude su cui poi costruirono l’Ospedale malefico è sempre la stessa, torna anche in Exodus; ma forse è la volta buona che queste porte si aprano davvero.
Per chiudere uno dei suoi tanti progetti sospesi (o perché da lui abbandonati, o per altre infinite ragioni produttive), von Trier torna sulla sua creatura più apprezzata dalla critica, quella sorta di diabolica parodia di Twin Peaks che era in generale una parodia di un modo di fare televisione che si era standardizzato e fermato negli anni Novanta. Il discorso parte proprio da lì, per Exodus infatti l’HBO dei 2000 e Netflix non sono mai accadute, e quindi entrare in Exodus fa lo stesso effetto di quando ci entra Karen, nuova signora Drüsse interessata a salvare le anime del Regno; solo che questa volta ci entra perché non crede possibile che il finale di Riget 2 sia davvero un finale, e che la storia non sia andata avanti. Quindi decide di riattivarla lei, con tutte le conseguenze che questo può comportare.
Però non bisogna credere che von Trier veda in questa iniziale confusione fra realtà di Exodus e realtà delle due stagioni precedenti (ripresa solo casualmente durante il resto delle cinque puntate) una qualche riflessione metatestuale seria su nuovi linguaggi o transmedialità, perché Exodus non è un film-saggio. Esattamente come le prime due stagioni, invece, è un mattatoio, crudo e spietato a suo modo, e soprattutto in grado di continuare a sviluppare il suo modo unico di sfregiare il buon gusto.
È, come tutti gli ultimi film di von Trier, un campionario delle sue ossessioni più manierate e stilizzate. Peschiamo a piene mani dal famoso marchio di fabbrica di Epidemic quando, sull’analogissimo titolo “RIGET” della sigla originale qui compare il gigantesco bollino rosso “EXODUS” (quasi che stiamo per comprare un prodotto registrato, in vendita, e non per vedere un film), e arriviamo fino al citazionismo demenziale dell’ultimo decennio del suo cinema, con particolari gag esageratissime su Solaris di Tarkovskij e Il settimo sigillo di Bergman. Insieme a tutto questo, tornano le gratuità (anche gore) a buon mercato, e una dedizione alla creatività che non è scalfita dalla vecchiaia.
Certo è che, se proprio qualcosa va detta, è tutto come ce lo immaginavamo. La scrittura è irriverente e fa saltare dalla sedia più di una volta; i nuovi personaggi sono abbastanza forti da reggere il paragone con quelli non tornati (a partire dai compianti Helmer, Drüsse e Bruder); i colpi di scena - paradossali, incoerenti, impossibili - non mancano, e sputano ancora felicemente in faccia agli amanti delle “trame”. Ma quello che sta alla base di Exodus, e che rimarrà nella memoria, è “semplicemente” un ritorno atto all’apparente distruzione della serie originale, senza che stilisticamente troppo si smuova; le stesse dinamiche tra i protagonisti sono le stesse delle prime due serie, tradotte su personaggi nuovi, rilette e travisate, ma divertenti esclusivamente per gli amanti delle prime due stagioni. L’immobilismo autoriale di von Trier è forse parte del suo goliardico nichilismo, ma a constatare come riesca a non rinunciare alla creatività, forse alla fine di Exodus rimane la sensazione di essersi tolti uno sfizio superficiale di 5 ore, piuttosto che di aver goduto di un altro nuovo Inferno per il piccolo schermo di un regista attivo da 40 anni. È insomma un divertissement feticistico in cui von Trier “manierizza”ancora i suoi modi e i suoi stili, come aveva già fatto più volte, tanto che il “prendere o lasciare” che è sempre valso per l’interezza della sua carriera ora è stanco, e disturba molto poco.
Quindi ben venga questa capsula del tempo, piena di personalità e kitsch come non mai; ben venga anche la scena del prefinale che all’anteprima a Venezia ha attivato gli applausi a scena aperta; ma è una cosa per gli appassionati, felicemente e coscientemente inutile. Probabilmente per qualcuno va meglio anche così.
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