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Stateless

1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie

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La recensione su Stateless

di ilcausticocinefilo
8 stelle

 

Apolide, ovvero “Se lo sei, di te non ci frega un emerito c---o”. Welcome to the Hotel Australia, ladies and gentlemen. Pieno di tutti i comfort, umano, sostenibile e soprattutto razionale. A differenza del “California”, qui è difficile tanto entrare quanto uscire.

Perché sapete cosa si dice: ah, l’Australie, terra di santi, canguri, grandi opportunità e… serial killer di outback (no, aspetta, questa è un’altra storia…). Terra promessa. Quantomeno, se si è della giusta pigmentazione cutanea, anche se – di tanto in tanto – può non bastare pure quello, come si evince dalle vicende della protagonista di questa narrazione chiara, precisa, capace d’andare dritta al punto.

 

Stateless è un’operazione coraggiosa e meritevole di grandi elogi. In relativamente poco tempo, riesce ad evidenziare tutto quel che v’è di storto, assurdo, riprovevole, indecente e talvolta fintanto paradossale nell’ormai famigerato “sistema di gestione dell’immigrazione” australiano (oggi peraltro convenientemente “esternalizzato” sulle isole come Nauru [visto che quel che non si vede o sente non ferisce, come ci ricordano le didascalie finali]). Sistema che qualcuno, dalle nostre bande, parrebbe voler persino imitare**.

 

 

Fayssal Bazzi, Soraya Heidari

Stateless (2020): Fayssal Bazzi, Soraya Heidari

 

 

Qualora siate già informati sui fatti, per così dire, probabilmente la miniserie vi dirà poco o nulla di nuovo, ma saprà quasi sicuramente catturarvi ciononostante, grazie alla sua comunque apprezzabile capacità di affrontare temi complessi da molteplici punti di vista evitando sempre le trappole della retorica e della semplificazione.

Il presupposto narrativo a prima vista “assurdo” dell’australiana che finisce per venir relegata lei stessa in un centro di detenzione per migranti è già da solo perfetto per descrivere sin da subito la rigidità intrinseca d’un sistema arbitrario, coercitivo, disumanizzante e ingiusto, incapace persino di vedere le realtà più lampanti (come nel caso dei bambini, costretti a subire la stessa sorte degli adulti).

 

Al pari di tantissimi altri angoli del mondo i migranti vengono trattati fin dal primo approdo come criminali potenziali – tutti, nessuno escluso (donne e bambini compresi, per l’appunto) – e spessissimo, per non dire sempre, finiscono per rimanere confinati in questi “centri” per anni e anni. Bloccati e “congelati”, in questi luoghi indefiniti e sospesi, possibilmente lontani dagli occhi e dai cuori dei “cittadini perbene”. D’altronde, particolarità dell’Australia è proprio quella di “offrire” un confino persino più efficace degli altri: difficile difatti fuggire dal bel mezzo del deserto più rovente o – a maggior ragione – da un’isoletta sperduta nel mezzo dell’oceano. Impresa altamente sconsigliabile.

 

 

Phoenix Raei

Stateless (2020): Phoenix Raei

 

 

E dunque, dopo aver affrontato traversie d'ogni genere, innumerevoli persone si ritrovano sospese in un limbo simil-infernale a tempo indeterminato, impossibilitate a compiere qualunque scelta di vita che non sia quella di resistere, sopportare, nella speranza d’ottenere in un futuro non troppo lontano la “carta vincente” per un futuro migliore. Nel frattempo, incarcerate, bistrattate e in genere ignorate da (quasi) tutti.

Il vasto e variopinto cast di personaggi offre una rapida ed efficace carrellata di generi, culture, vicende che ci impone di vedere le persone oltre i numeri.

Apprendiamo di Ameer, costretto dalla sfortuna a separarsi dalla moglie e dalle due figlie; di Javad, padre di due figli cui viene impedito di ricongiungersi con loro e la moglie; di Rosna, curda perseguitata, che non ha intenzione di arrendersi; dei “due Tamil” arroccati sul tetto pur di farsi notare e non rimanere invisibili; dell’anziano incarcerato da ben 7 anni sempre seduto muto e immobile nel mezzo del campo, valigia al fianco e di molti altri ancora.

Dall’altra parte, oltre al caso della protagonista Sofie Werner, malata e incompresa, nonché reduce da un brutto periodo come seguace d’una “setta” d’auto-aiuto; apprendiamo di Cam Sandford convinto dagli amici e dalla famiglia a prendere il lavoro in vista dei buoni guadagni, e di Clare Kowitz, inviata dal dipartimento dell’immigrazione a “gestire” la situazione al centro (ovvero, in altri termini, impedire il più possibile che si sappia cosa succede all’interno).

 

 

Asher Keddie

Stateless (2020): Asher Keddie

 

 

Visti i tempi “stretti”, non tutti sono approfonditi, ma tutti offrono un lampo, uno spiraglio, su un aspetto e un punto di vista che unito agli altri compone un quadro potente e realistico, costringendo lo spettatore a vedere il problema e impedendogli di voltarsi dall’altra parte. E così rende presente senza mezzi termini la brutalità e ristrettezza d’un sistema burocratico chiuso e ottuso, nonché tarato su metri di giudizio e comprensione “occidentalocentrici”, in modo tale che sin dal primo interscambio si generano incomprensioni su una faccenda all’apparenza banale come quella del cognome (nel caso di Ameer).

Inevitabile che si giunga – non di rado – a ben più inquietanti incomprensioni, come quella che fa dello stesso Ameer un trafficante di uomini dalla sera alla mattina.

 

Molto deriva dalla pretesta, alquanto delirante, che persone costrette a sobbarcarsi simili traversate abbiano una “storia coerente”, ma per la miseria soprattutto “verificabile”, alle spalle da raccontare. Pretesa che conduce a ricercare il minimo proverbiale “pelo nell’uovo” e a negare un visto sulla base di piccole e banali inevitabili discrepanze o inesattezze.

Il tutto induce a chiedersi: cosa si potrebbe ottenere di più se tutti quegli sforzi profusi nel ricercare la più piccola discrepanza o il più piccolo errore, cercando in tutti i modi di non riconoscere un visto ad una persona, fossero indirizzati invece nel tentativo di velocizzare il processo, comprendere le persone e in un secondo tempo magari tentare un cammino d’integrazione? E’ più facile a dirsi che a farsi, non c’è dubbio, ma se non ci si prova… Ma no, meglio spendere centinaia di milioni per tentare di “tappare la falla”, reprimere, tenere il problema lontano dalla vista e in sospeso.

Meglio non parlare poi dell’agghiacciante geniale metodo di “governo” dell’immigrazione alternativo (fuggevolmente menzionato pure nella serie): quello di respingere direttamente i barconi all’origine (o, come piace dire anche a certi grandi statisti nostrani, “salvare vite umane prevenendo gli sbarchi”, con linguaggio che è tanto vigliaccamente eufemistico quanto al dunque ipocrita e raggelante, viste le sue implicazioni).

 

 

Fayssal Bazzi, Asher Keddie, Simone Annan

Stateless (2020): Fayssal Bazzi, Asher Keddie, Simone Annan

 

 

Stateless è un tentativo di “alzare la voce” e imporre all’attenzione del pubblico queste tematiche, invitandolo anche ad un approfondimento successivo e – si spera – a non farsi sedurre dalle narrazioni più semplicistiche e “riduzionistiche” (che riportano tutto cioè ad un puro gioco di statistica e gestione emergenziale senza sguardo di lungo termine, con un pizzico di xenofobia gettata nel mezzo tanto per dare un po’ di pepe).

La serie fortemente voluta dalla Blanchett (che si ritaglia una particina) conosce una tensione crescente, non si abbandona al sentimentalismo e alla retorica, e “regala” un bel pugno nello stomaco, lasciando al termine della visione con un’angoscia difficile da scacciare via. Ma ne vale la pena, perché nessuno può sentirsi estraneo a quanto viene raccontato**.

 

 

 

** specialmente in considerazione del fatto che, dal 2013 in avanti, la situazione è molto peggiorata, la politica australiana in materia d’immigrazione si è fatta persino più rigida e, appunto, qualcuno dei nostri geniali politici di tanto in tanto s’inventa di volerla pure imitare (https://www.agi.it/estero/migranti_australia_no_way-4302404/news/2018-08-24/).

No Way(in pratica “Scordatevelo”), è diventato il motto/mantra del governo conservatore di Tabbott e successori. La violenza anche verbale della cosa è quasi allucinante (vedasi per credere https://www.youtube.com/watch?v=rT12WH4a92w). Chiunque, anche famiglie, donne, bambini non accompagnati, possono venire respinti o confinati sulle isolette come Nauru, senza distinzioni e senza pietà. Se non vi sembra che possa risultare d’interesse anche per noi, vista la situazione nel Mediterraneo e l’eventualità che certe idee politiche (insieme agli uomini e donne che le rappresentano) s’impongano definitivamente, non so che dirvi.

 

 

Helana Sawires

Stateless (2020): Helana Sawires

 

 

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Ultimi commenti

  1. mck
    di mck

    È in lista, in seconda fascia (qualche passo in avanti dopo aver letto molte recensioni positive ed argomentate, fra le quali questa).
    È bene che la situazione australiana in fatto di gestione dell'immigrazione (cattiva negli anni '90, più buona negli anni '00, orribile negli anni '10: uno schifo-al-cazzo persino superiore all'uno-due italiota minniti-salvini, ed ora la pallida lamorgese...) finisca nel calderone mainstream di Netflix, dove magari anche per caso e anche per sbaglio, qualche capoccia un po' dura può capitarci sopra, per quel che vale.

    1. ilcausticocinefilo
      di ilcausticocinefilo

      Sono d'accordo.
      Chissà che non ci capiti sopra per davvero qualche testaccia dura anche se, ad essere onesti, ho idea che - una volta letta la sinossi e/o visti i primi minuti - passerebbe oltre senza pensarci due volte.
      Sulla questione immigrazione ci sarebbe tanto da dire e non mi metterò certo adesso a sostenere che questa serie dica qualcosa di nuovo, ma l'ho trovata comunque interessante.
      Tra parentesi, più ne leggo della situazione in oggetto (ma ne avevo già letto in passato), e più mi dà il voltastomaco.
      Veramente uno schifo al quadrato, che magari in futuro i "nostri" grandi statisti si metteranno pure a prendere ad esempio. Intanto, tra guardia costiera libica e lager, si sono già messi sulla "buona strada"...

  2. CineNihilist
    di CineNihilist

    Recensione necessaria e doverosa, ma soprattutto molto interessante, grazie @ilcausticocinefilo per avercela condivisa qui su filmtv.

    La situazione australiana è al quanto paradossale, uno degli Stati più xenofobi e razzisti del mondo dove la dogana è veramente severissima.

    Di fatto si riflette perfettamente sulla propria Storia e sulla propria esistenza in quanto tale visto la sua collocazione geografica periferica che la pone di fatto in mezzo ad una placca antropologica asiatica molto preponderante e poco prepotente come la vogliono far pensare loro.
    Insomma, la paura atavica dell'isola "bianca" (nata sulla violenza e sul genocidio programmatico come gli USA) è che nei prossimi decenni venga invasa da un'immigrazione massiccia asiatica che ne cambi totalmente il genoma della nazione (già molto spopolata per il territorio ostile).
    Perciò governo ed establishment si adoperano di milioni (e miliardi) di dollari per cercare di evitare o rallentare il più possibile questo processo di assimilazione di migranti asiatici che in futuro potrebbero costituire un problema...o almeno così temono visto che vogliono conservare la purezza di sangue anglosassone ancor peggio degli Stati Uniti con la questione ispanica.

    Non è un caso che l'Australia tema molto l'espansionismo economico e militare indonesiano (270 milioni vs 25 milioni) ma soprattutto quello cinese, infatti è da qualche annetto che Australia, Giappone, India e Stati Uniti si coordinano militarmente per "difendere" l'Indo-Pacifico dal tentativo imperialista-espansionista di Pechino di dominare l'Asia e il Mondo.
    Questo per capire come un Stato "alieno-occidentale" immerso totalmente in uno scenario esotico-asiatico, tema di perdere la propria purezza etnico-culturale e legittimità internazionale e continentale.
    Geograficamente parlando, è il paradosso dei paradossi, ed è anche per questo che mi affascina molto soprattutto perché sono affascinato da metropoli disperse nel nulla come la città Perth, situata nella costa occidentale dell'Australia.

    Caso differente il caso Neozelandese, che essendo ancora più lontano dell'Australia in termini di "potenziali invasioni" si è dimostrato più uno Stato pacifista capace anche di "alzare la voce" nei tentativi guerrafondai degli USA nel militarizzare l'Oceania.

    Il futuro (e la geopolitica) ci diranno come muterà la politica di immigrazione in Australia, di sicuro lo scenario distopico di George Miller sembra il futuro prossimo più plausibile per l'isola Continente, altro che l'invasione "gialla".

    Alla prossima recensione e complimenti ancora per aver divulgato un prodotto sicuramente imperdibile ;)

    1. ilcausticocinefilo
      di ilcausticocinefilo

      Già, beh, i grandi statisti australiani andrebbero probabilmente d’amore e d’accordo col “nostro” grande statista di Varese o con quell’altro di Milano, divisi tra la paura della “sostituzione etnica a causa dei loschi traffici di Soros” e “la paura dell’anti-italiano, ovvero il meridionale [Vesuvio pensaci tu...]”… per non parlare poi della “giustizia ad orologeria”.

      A parte le cazzate…
      Di certo ogni paese è stato fondato – quale più, quale meno – sul sangue.
      Tuttavia, gli anglosassoni sono sempre rimasti attaccati ad una mentalità molto più razzista ed esclusivista, negli USA ad es. a causa dell’estremismo religioso dei puritani espatriati per fuggire alle persecuzioni in Inghilterra. Costoro formavano comunità chiuse e impermeabili, e non ne volevano proprio sapere di “avere a che fare” con gli “indiani”. Mentre, al contrario, i francesi della “Nuova Francia” coi suddetti “indiani” intrattenevano discreti rapporti commerciali. Persino gli spagnoli – supremi conquistatori e sfruttatori dell’America – nonostante tutto si “mescolavano” di più con i locali, vedi il gran numero di mulatti e meticci. Non che questo ammendi in alcun modo lo sterminio sistematico dei nativi, va da sé…
      L’Australia ha una storia abbastanza simile, pur tenendo in conto le debite differenze fattuali (è un ex-colonia penale), spaziali e temporali. Gli aborigeni sono stati pressoché sterminati e successivamente i bambini dei pochi sopravvissuti convenientemente rapiti e “rieducati”. Un’atrocità difficile da descrivere.
      Su simili basi non c’era da aspettarsi molto di meglio sul fronte immigrazione, e infatti.
      E lasciamo perdere i “timori” circa l’espansionismo cinese che – al di fuori dell’ “asse anglosassone” - dovrebbero far ridere i polli: vorrei proprio vedere cosa succederebbe se schiere di portaerei cinesi fossero stanziate al largo di Los Angeles. Ma, finché si tratta dell’Impero, beh può fare quel che vuole e gli altri dovrebbero pure accettare e in silenzio (la Russia circondata da missili e basi americane; la Cina stesso). E’ davvero stimolante e in certa misura divertente immaginarsi uno scenario alternativo nel quale invece che i droni americani a sorvolare i cieli russi ci fossero quelli russi a violare lo spazio aereo statunitense… Di nuovo, cosa accadrebbe?
      E’ un po’ come la storia del 5G. Ne vogliamo parlare? Cioè, in buona sostanza, tutte (e sottolineo tutte) le maggiori compagnie di Internet sono americane (e notoriamente ci fregano i dati a mani basse da sempre), eppure vorrebbero farci credere che c’è il rischio d’un egemonia cinese a causa del 5G che metterebbe a fortissimo rischio la nostra privacy? Come detto, da far ridere i polli.

      Per ritornare all’Australia: è sempre il solito, vecchio discorso. Vista la nostra ricchezza (“nostra”; di noi Paesi ricchi) attiriamo poveri disperati da ogni dove, disperati che vivono come vivono proprio per permettere a noi invece di vivere nella bambagia… finché ci saranno simili diseguaglianze, l’immigrazione non si fermerà. Anzi, di qui a qualche decennio, coll’avanzare dei cambiamenti climatici, senza dubbio aumenterà in misura esponenziale, visto che non s’è fatto nulla per prevenirlo. E i primi ad essere colpiti saranno proprio quei Paesi poverissimi, come ad esempio il Bangladesh, dai quali già oggi proviene la gran maggioranza dei migranti. Voglio proprio vedere cosa succederà, a quel punto.

    2. ilcausticocinefilo
      di ilcausticocinefilo

      Comunque, grazie del passaggio e - come al solito - dei complimenti ;)

    3. CineNihilist
      di CineNihilist

      Concordo con tutto ciò che dici, ormai lo scontro tra civiltà è inevitabile tra Occidente ed Oriente o meglio Occidente + Oriente contro uno stato dell'Estremo Oriente ;)

      Gli anglosassoni sono il paradosso dei paradossi, grandi esploratori che dovrebbero essere più "aperti" alle altre culture e invece...

      Chissà cosa sarebbe successo se l'Australia fosse stata una colonia asiatica...avrebbero avuto lo stesso atteggiamento occidentale con i migranti? Di certo loro non sono abituati al cosmopolitismo USA (con tutte le sue contraddizioni) però forse un ceppo culturale allogeno si sarebbe sviluppato con una eventuale guerra d'indipendenza...chissà!

      Un po' come per la storia dell'esploratore della dinastia Ming Zheng He, e se avesse veramente scoperto l'America prima degli europei? O se avesse colonizzato l'Oceania solo per dirne una? Sicuramente il mondo sarebbe diverso oggigiorno, ma queste sono fantasie giusto per scuotere il noioso status quo.

      Prego, sappi che hai fatto una recensione doverosa, bisogna divulgare certe opere anche per interpretare al meglio la nostra malsana realtà. Alla prossima recensione!


  3. maurri 63
    di maurri 63

    Ci sono opere che, a prescindere dall'aspetto stilistico o dalla struttura, sono necessarie per quanto mostrano, piuttosto per quanto avvincono: come ben dici, è probabile che, lette le prime righe, qualcuno scappi senza neppure dare un'occhiata alla serie - anche se mi auguro di no - ma bisogna dire che, almeno Netflix ha provato a squarciare un velo e qualcuno potrebbe restare a vedere, immaginando di approfondire l'argomento. Personalmente, io sono sempre orientato ad un mondo aperto : non lo vedrò, ma sono certo che arriverà il giorno dell'ingresso in un altro Stato in cui la sola cosa che ti chiedono, al massimo, è la fedina penale ma, nell'attesa, "Stateless" (e similari) va benissimo per farci riflettere. Certo, se in Italia, piuttosto di continuare a mostrare storie "private" si cominciasse a fare anche qualcosa sul "sociale" ("No, ti prego, così non incassiamo un euro..", classica risposta del produttore), allargando la confezione ad un racconto corale, potremmo avere un cambio di rotta. L'inclusione (e non solo l'integrazione), spesso, passa dai film, dal cinema, dalle serie. Grazie.

    1. ilcausticocinefilo
      di ilcausticocinefilo

      Grazie a te e perdona il ritardo (ho visto solo adesso il tuo commento).
      Quel che dici è esattamente quel che penso anch'io: anche solo il tentativo di "squarciare il velo" è più che apprezzabile. Dunque, se anche la miniserie non si afferma certo come un capolavoro della televisione, si dimostra cionostante perfettamente in grado di far riflettere ed in questo sta il suo maggior pregio.
      Anch'io - nei miei momenti "utopici" - sogno ad occhi aperti un mondo più aperto e meno conflittuale, meno razzista e più "internazionale". Chissà, probabilmente non lo vedremo mai. Di certo io ci spero sempre meno...

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